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sabato 3 novembre 2018

First Man


"I don't know what space exploration will uncover, but I don't think it'll be exploration just for the sake of exploration. I think it'll be more the fact that it allows us to see things. That maybe we should have seen a long time ago. But just haven't been able to until now."


"Here's to the ones who dream, crazy as they may seem": i sognatori di Damien Chazelle ci piacciono così, sempre forti di quella determinazione un po' cieca e un po' incosciente che ti mantiene dritto sulla via dell'obiettivo, non importa quanti tagli e cicatrici ci vorranno e quanto possa essere alto il prezzo domandato, che sia la fine di un amore, il trincerarsi in una gabbia di vetro dove nessuno potrà mai raggiungerli o addirittura la vita stessa, con la morte di tanti colleghi e un'elevata probabilità di seguire il medesimo tragico destino; non per la notorietà, non per la gloria, ma perché solo una volta toccate le stelle sedare il dolore e trovare pace diverrà finalmente possibile.

C'è tanto del romanticismo di La La Land e del sangue e delle batterie di Whiplash nel viaggio del First Man Neil Armstrong, il più classico dei Ryan Gosling, pilota taciturno e imperscrutabile reso ancora più schivo da una tragedia personale per la quale non esistono parole: sostenuto con coraggio dalla paziente moglie (una battaglia di primi piani sugli occhi azzurri della bravissima Claire Foy) e dagli amici più stretti ma egualmente solo e sempre altrove, incastrato nelle anguste postazioni di comando coi suoi fantasmi in attesa che questi possano volare via, liberi nel silenzio dello spazio infinito.

venerdì 6 aprile 2018

Mary Magdalene




Quando cresci in Italia ci fai l'abitudine, più che altrove: i film a sfondo religioso te li somministrano sempre, a scuola o al catechismo, nelle giornate di festa che naturalmente li richiamano, perché le immagini facciano la loro parte nel dare corpo a una fede trasparente che i più fortunati riescono a preservare nonostante le domande bussino sempre alla porta, impertinenti.
Un pentolone ingombro e curioso dove puoi trovare fiction anni 90' e grandi produzioni d'autore, il classicismo dorato e la pompa magna della vecchia Hollywood, profanazioni pop e scandalosi spunti da best seller agitati e mescolati a quel po' di anarchia che la santità richiede in tutta la sua anomalia; questa volta, a risorgere nel racconto cinematografico è la bistrattata ma sempre ben monetizzata figura di Maria Maddalena, riabilitata pienamente da Papa Francesco solo nel 2016 e ora assolta anche dal grande  schermo grazie al film diretto da Garth Davis con protagonista Rooney Mara.

domenica 25 marzo 2018

Irish Film Festa 11: Maze, Stephen Burke



Una griglia di fratture e microfratture, fratello contro fratello e Dio contro Dio, fino a un cessate il fuoco a lungo sospirato ma incapace di guarire fino in fondo le ferite che hanno scavato solchi nella sensibilità e nel malessere di un paese intero: questa la storia dell'Irlanda del Nord, l'Ulster che a scuola tendiamo a confondere con l'Eire con tanta leggerezza e che invece si porta dietro l'eredità conflittuale di una lotta nobile e antica, ma combattuta con le armi della paura e del terrorismo da una parte e con ferma repressione dall'altra; così si gioca il rimbalzo delle responsabilità, le bombe dell'IRA nei pub e nei locali pubblici con gli innocenti che pagano il prezzo più alto, la risposta britannica che si accanisce reprimendo con la violenza proteste pacifiche e spargendo sangue sulla strada, processi senza attenuanti e una risposta carceraria di durezza non comune, nel carcere di massima sicurezza più imponente e inespugnabile d'Europa che si presenta come un labirinto profondo di alienazione e annullamento.


Da qui riparte Maze di Stephen Burke, presentato nel corso dell'Irish Film Festa presso la Casa del Cinema di Roma dedicato all' evasione che coinvolse ben 38 terroristi dell'IRA, sfuggiti in modo rocambolesco dalla fortezza dell'HM Prison Maze (conosciuta anche come Long Kesh) nel settembre '83, per essere per lo più riacciuffati subito o uccisi qualche anno dopo; una grande fuga degna di Steve McQueen, preparata e studiata con altrettanta cura dalla mente Larry Marley, sopravvissuto al terrificante sciopero della fame che si portò via tanti detenuti determinati a veder riconoscere i propri diritti di prigionieri politici in nome dell'Irlanda per cui avevano combattuto, magra consolazione per tutte le famiglie che non li hanno mai più visti tornare a casa. 

martedì 13 marzo 2018

The Shape of Water


"Unable to perceive the shape of You, I find You all around me. Your presence fills my eyes with Your love, It humbles my heart, For You are everywhere..."

"Tale as old as time" cantava la canzone di Alan Menken mentre la Bella e la Bestia volteggiavano nel salone da ballo vestiti di tutto punto, decorosamente abbottonati nei loro dorati abiti finto settecenteschi: il mito della bella fanciulla innamorata di una creatura mostruosa è vecchio come il tempo e impresso nella carne dell'uomo quanto nella sua immaginazione e fantasia, forte nella consolazione dell'idea che l'amore possa prescindere dall'aspetto esteriore in nome di un oltre che anche il più cinico e disilluso non può fare a meno di bramare, nel silenzio delle notti in cui nessuno potrà mai disturbare o criticare i suoi desideri più segreti.

Un mito che non ci stanca mai e dribbla facilmente il sapore di già visto e già sentito e che ci regala un sollievo sempreverde, ma ha anche bisogno di nuova linfa per riuscire a emozionare davvero e non stagnare in una mera resurrezione del canonico, vivido e magico come lo è sempre stato sin dalle prime immagini che ci hanno trovato nell'infanzia: fra le mani di Guillermo Del Toro, guardiano di tante creature mostruose, fantasmi, freaks reietti e incompresi da un mondo che sa essere più gore e spaventoso di loro stessi, il rispetto per la diversità dei personaggi e l'importanza del messaggio sono rispettati alla lettera e non solo in The Shape of Water ( in Italia La Forma dell'Acqua), favola moderna che contrappone il suo cuore ai verdognoli Stati Uniti dei primi anni 60' e di una Guerra Fredda le cui dinamiche risultano a volte tanto assurde da sfiorare l'ilarità involontaria.

sabato 17 febbraio 2018

Three Billboards outside Ebbing, Missouri


"Because through love comes calm, and through calm comes thought. And you need thought to detect stuff sometimes, Jason. It's kinda all you need. You don't even need a gun. And you definitely don't need hate. Hate never solved nothing, but calm did. And thought did. Try it. Try it just for a change. No one'll think you're gay. And if they do, arrest 'em for homophobia! Won't they be surprised! Good luck to you, Jason. You're a decent man, and yeah you've had a run of bad luck, but things are gonna change for you. I can feel it."

Benvenuti a Ebbing, Missouri! Se avete deciso di intraprendere un viaggio on the road per conoscere gli States senza lasciarvi distrarre dal caos brulicante delle città della costa Est, Ebbing è certamente il posto che fa per voi: come resistere a questo delizioso centro abitato dove la vita scorre sempre uguale da generazioni, le casette di legno stanno piantate nel bel mezzo del nulla e non si vede un'anima per miglia a meno che non si sia persa imbucando la statale sbagliata, un luogo ameno dove conigli, scoiattoli e cerbiatti scorrazzano felicemente finchè qualcuno non li ammazza e li trasforma in stufato o bistecca (c'è anche un fornitissimo negozio di souvenir, se volete portarvi via qualche ricordino), mentre gli abitanti si dibattono come animali in gabbia lottando ogni giorno per non impazzire, laddove abbiano avuto la sfortuna di non riuscire ad andarsene, preparandosi a convivere con la spenta desolazione e di ciò che li circonda e che sono diventati per tutto il resto delle loro vite aggrappandosi a qualunque pezzo di felicità disponibile.

Un ritratto decisamente poco idilliaco quello di Three Billboards outside Ebbing Missouri (Tre Manifesti a Ebbing, Missouri), ultima fatica di Martin McDonagh dopo i fasti dell'incredibile In Bruges e Seven Psychopaths, ironico e crudele al punto da strizzare un sorriso fra i denti anche quando non sembrerebbe corretto (aiutato dai contrasti della sempre splendida colonna sonora di Carter Burwell), ma autentico fino in fondo e disposto a mettere le carte in tavola senza zuccherare una realtà che ci fa sempre bene dimenticare: è questo il volto della vera America, il paese che ha votato Trump convinto che avrebbe finalmente dato voce alle sue pretese razziste e bigotte, figlie di un isolamento agorafobico che cresce bene cullato da lande sterminate e vuoti esistenziali.

sabato 6 gennaio 2018

Wonder Wheel


"When it comes to love we all turn out to be our own worst enemy."

La vita è una tragicommedia dal finale irrisolto in cui siamo attori e spettatori, prigionieri di ruoli troppo ben interpretati e unici veri responsabili della nostra infelicità e caduta: Dio, le Parche e il Fato potranno anche metterci lo zampino e fare rimbalzare gli anelli sulla balaustra giusta al momento giusto, ma la macchina non si metterebbe mai in moto se ogni nostra azione non avesse una conseguenza e ogni sincera volontà di cambiare non fosse sciacquata via con grande facilità, vinta da una marea di nevrosi e tormenti nella quale forse non sguazziamo poi così male.

Nonostante l'età avanzata e una produttività inarrestabile quanto pericolosa per la qualità stessa del lavoro (un film all'anno sarebbe uno standard difficile da mantenere per qualunque regista più fresco) Woody Allen sa bene quale storia vuole raccontare e come raccontarla, trovando ancora una volta un modo stimolante di rappresentare il dramma in più atti che l'umanità non smette di recitare dalla notte dei tempi e che con l'età sembra occupare con sempre maggiore insistenza i suoi pensieri: assecondando il monito del protagonista del suo precedente Cafè Society che con un sorriso di rassegnazione si riferiva alla vita come a una commedia scritta da un sadico autore, a dare cuore e anima a Wonder Wheel( in Italia, La Ruota delle Meraviglie) è il teatro coi suoi trucchi e meccanismi più amati e familiari, sotto le luci del palcoscenico vintage di giostre sgangherate e vestiti sgargianti della Coney Island degli anni 50', per mettere in scena il fallimento di una donna che per nevrosi e mal di testa non può che rivaleggiare coi personaggi alleniani migliori.

venerdì 29 dicembre 2017

Murder on The Orient Express (2017)


I have seen the fracture of the human soul. So many broken lives, so much pain and anger, giving way to the poison of deep grief, until one crime became many. I have always wanted to believe that man is rational and similised. My very existence depends upon this hope, upon order and methods and the little grey cells, but now perhaps I am asked to listen instead to my heart. I have understood in this case that the scales of justice cannot always be evenly weighed and I must learn for once to live with the imbalance.

Il vagone ristorante e il bar sono uno spettacolo: con le stoviglie apparecchiate al centimetro della precisione maniacale dei grandi palazzi, i calici di cristallo tintinnanti e brillanti di champagne e i dessert deliziosi che sfilano sui tavoli facendoti venire l'acquolina in bocca, Assassinio sull'Orient Express (Murder on the Orient Express) di Kenneth Branagh introduce l'eponimo treno con tutto lo sfarzo e la raffinatezza che l'occhio vorrebbe vedere, simbolo del glamour di quell'Europa che sospesa fra le due Guerre era ancora convinta di viaggiare ben salda sui binari della civiltà e dell'ordine.

venerdì 3 novembre 2017

The Beguiled


Non è poi tanto difficile capire cosa passi per la testa di John McBurney, caporale dell'esercito nordista scampato per caso alla fine grazie al soccorso di un sparuto gruppo di donne, insegnanti ed educande dimenticate in un collegio del Sud nel bel mezzo della Guerra Civile: quale fantasia avrebbe potuto essere più eccitante per un soldato, ferito e braccato dal nemico e da un conflitto che ha già sottratto tanti uomini al calore di una donna, dell'avere intorno tante vergini carine e indifese pronte a guardare con curiosità e interesse all'affamato avventuriero a cui hanno fatto salva la vita, ancelle di un tempio pagano protette dal mondo in subbuglio unicamente dal fitto del bosco e dalla monotonia delle giornate. 

In The Beguiled(L'Inganno) di Sofia Coppola, secondo adattamento dell'omonimo romanzo dopo l'epocale film di Don Siegel con Clint Eastwood (in Italiano La notte brava del soldato Jonathan), le differenze fra i sessi imposte da convenzioni sociali e culturali vecchie quanto l'umanità stessa si abbattono ineluttabili sulle signorine dell''800 quanto sui nostri occhi di spettatori moderni e allenati; mentre l'uomo è libero di arginare convenzioni e buone maniere e dare libero sfogo a quegli stessi impulsi che il gentil sesso è costretto a reprimere entro i lacci di camiciole e corsetti, sulle Donne ricade il dovere di proteggere la propria virtù in attesa che un marito rispettabile acquisti il diritto unilaterale di goderne: sempre sotto una campana di vetro, sempre tenute in piedi da stecche di disciplina e autocontrollo, finché la pressione non diventa insopportabile al punto da voler strappare via a morsi perle e bottoni.

lunedì 23 ottobre 2017

A Ghost Story




Ci piace pensare che le storie di fantasmi debbano essere sempre creepy e spaventose, di quelle che ti fanno saltare in aria davanti allo schermo quando un amico ti pizzica scherzosamente o che non ti fanno dormire la notte, facendoti sussultare al primo crepitio quando vedi gli armadi dischiudersi con fare sinistro e gli oggetti sembrano finire a terra senza un perché, come se la gravità si accanisse su di loro per il mero piacere di farvi arrabbiare.

Difficilmente nel brivido del momento troviamo però il tempo e la voglia di soffermarci davvero su quali storie si nascondano sotto il lenzuolo bianco o fra le maglie delle catene di questi spiriti inquietanti e incaponiti, soli con sé stessi e il proprio abisso senza che nessuno possa vederli né sentirli se non per fuggire via in preda allo sconcerto e al terrore, un'eternità di silenzio da affrontare fra quelle mura che un tempo raccoglievano felicità, discussioni e briciole di una vita intera e che adesso sono solo lo scheletro di ciò che è stato, l'ultima rocca a cui aggrapparsi per non sparire del tutto dal ricordo di chi li ha amati tanto ma non può fare a meno di andare avanti.

A Ghost Story è un film piccolo girato quasi del tutto in una stanza, con la camera puntata su quella cucina/sala da pranzo dove la quotidianità fa il suo giro giorno dopo giorno nella buona e nella cattiva sorte, che si prende una bella dose di rischio nell'usare due attori di calibro come Rooney Mara e Casey Affleck giusto per una manciata di scene prima di annullarli nel flusso atemporale degli eventi (sotto al lenzuolo del marito defunto potrebbe esserci chiunque), semplici archetipi che non hanno neppure bisogno di un nome completo per raccontarci la loro storia: la storia di una partita con la morte persa in partenza eppure vinta con l'amore, l'unica ragione per cui continuiamo ad alzarci la mattina pur consapevoli che i figli dei nostri figli affronteranno lo stesso identico percorso di inizio e fine di ogni cosa, l'unico modo per combattere la paura del nulla quando spegniamo la luce a tarda notte e affidiamo i nostri sogni al buio, sperando che la nostra memoria non si sbricioli nel tempo senza che rimanga più nulla di ciò che abbiamo avuto.

A Ghost Story sta tutto lì, nel racconto di una vita che è finita e che nei suoi lunghi silenzi si ingozza di torte mangiate controvoglia con le lacrime e si strazia di malinconia e solitudine, ma che si ritrova senza faccende in sospeso una volta compreso che anche se per poco e a dispetto di un destino bastardo vale sempre la pena di esistere: eccolo il lascito dell'affetto che doniamo agli altri e che loro prima o poi loro si porteranno via, nelle briciole che gli lasciamo nel cuore e che ci permetteranno di vivere altre vite che non vedremo, nascoste in una canzone o nel passaggio di un libro che raccontava di noi e delle piccole cose che ci rendevano felici, o in un pezzo di carta incastrato in una crepa nel muro della casa che ci ha protetto dai pericoli del mondo finchè ha potuto, abbastanza da permetterci di abbandonare il lenzuolo e affrontare finalmente l'ignoto.


lunedì 2 ottobre 2017

L'Assedio - Troppi nemici per Giovanni Falcone



Statue agli ingressi delle scuole e murales più o meno elaborati sparsi per le strade di Palermo, sugli edifici e nei musei, la foto della Proclamazione che campeggia piena di speranza e soddisfazione sul cortile della facoltà di Giurisprudenza e persino quel che resta della macchina con le sue lamiere scomposte e accartocciate, la violenza dell'esplosione messa sotto vetro a fotografia imperitura dell'orrore scritto col sangue sul calendario di un infausto 1992: i cenotafi dedicati a Giovanni Falcone vegliano sul Capoluogo siciliano perchè nessuno possa permettersi il lusso di dimenticare, presenti allo sguardo degli uomini e delle donne che hanno vissuto loro malgrado la giovinezza in una città pronta a trasformarsi con regolare e terribile frequenza nel set di uno spietato western metropolitano, ma anche delle nuove generazioni di ragazzi troppo piccoli all'epoca dei fatti o nati dopo quegli anni terribili.

La linea che corre fra la lealtà al ricordo e la beatificazione è tanto sottile quanto pericolosa nell'avanzare con insistenza martellante un'unica domanda: chi era davvero l'uomo alla cui memoria cerchiamo disperatamente di aggrapparci? Come si è potuto lasciare che rimanesse tanto solo da finire nella rete degli uomini che stava cercando con ogni mezzo di combattere e dov'erano lo stato, i colleghi, gli amici che avrebbero dovuto supportarlo e proteggerlo? è un viaggio doloroso ma necessario, descritto con finezza di dettaglio e coraggiosa sagacia, quello che Giovanni Bianconi compie ne L'Assedio- troppi nemici per Giovanni Falcone, cronaca di una Guerra lunga e insidiosa che ha visto in fine i migliori servitori dello stato cadere sotto i colpi di cannone della criminalità organizzata, aprendo brecce sulla mura che avrebbero dovuto proteggerli e che si sono fatte fragili sotto il peso di invidie e gelosie o semplicemente della mancanza della lungimiranza necessaria nel guardare oltre la linea dell'orizzonte, al di là del Panorama di cavilli, burocrazia e corruzione proposto dal Regno D'Italia e dai suoi capi palesi e occulti.

venerdì 5 maggio 2017

The Light Between Oceans


"We can't rightly talk about the future if you think about it. We can only talk about what we imagine or wish for. It's not the same thing."

Metti un romantico faro su un'isoletta ritirata e tranquilla al largo della costa australiana, con tramonti mozzafiato su un panorama da cartolina e il solo rumore delle onde a fare da sottofondo, metti che il guardiano del faro sia un uomo tormentato dal ricordo assordante delle trincee della Grande Guerra e che abbia il volto di Michael Fassbender, metti una ragazza anche lei provata dal Conflitto e ansiosa di formare una nuova famiglia con un infinito tappeto d'acqua e d'amore a far da barriera contro il dolore del mondo, metti che questa fanciulla abbia i tratti dolci e testardi della piccola Alicia Vikander, che sembrerebbe essersi innamorata del Fassbender proprio sul set di questo film perchè in certe circostanze a giocare a moglie e marito è difficile rimanere indifferenti: il biglietto da visita di The Light Between Oceans (La Luce fra gli Oceani) è infiocchettato abbastanza bene da spingerti a salire a bordo senza tante storie, per venderti una love story dal pedigree impeccabile con due protagonisti belli e bravi, una splendida cornice paesaggistica a riempirti gli occhi e una dose massiccia di lacrimoni per farteli bruciare.

lunedì 1 maggio 2017

Thirteen Reasons Why


"I had all and then most of you
Some and now none of you
Take me back to the night we met
I don't know what I'm supposed to do
Haunted by the ghost of you
Oh, take me back to the night we met"
(Lord Huron, The Night We Met)

Come ci insegna il Bardo guardando con onestà sorprendente a quegli scavezzacollo sconsiderati di Romeo e Giulietta, gli adolescenti non sono molto bravi ad accettare mezze misure e compromessi, pulcini incapaci come sono di liberarsi del tutto dei frammenti accoglienti del loro guscio per spiccare finalmente il volo verso il futuro, anche a costo di sbattere a più riprese contro un ostacolo per ripartire ogni volta più forti di prima. Che la vita sia una battaglia e che la felicità non sia un assoluto è un'ovvietà che impari presto, ma a quattordici anni la fame di quell'esistere così pieno e sconosciuto è talmente grande che non puoi che scegliere deliberatamente di non sentire: varchi per la prima volta il cancello delle superiori con la certezza che o sarà tutto meraviglioso o finirà in un disastro totale, cerchi disperatamente di farti accettare da coetanei che ogni giorno sembrano stare lì solo per dirti che saranno sempre più sicuri, più belli e più in gamba di te, riesci a ritagliarti un piccolo spazio nel girone infernale della scuola ma basta una mezza parola o un banale fraintendimento per sentirsi dire che è finita, l'affronto che hai fatto è troppo grande per poter essere perdonato e dimenticato, torna pure nel tuo eremo di solitudine che a nessuno importa niente di te e mai importerà. 
Ti butti sui libri con tutta l'energia che riesci a trovare o li abbandoni del tutto, alla ricerca di qualcosa che possa rendere giustizia alla persona che vorresti essere ma non ce la fai, perchè una cattiveria dopo l'altra la linfa che dovrebbe nutrire l'adulto che diventerai viene succhiata via e divorata da un dolore che sembra insostenibile, il tarlo del niente che nulla vede e nulla ascolta, neppure l'amore e la disponibilità della famiglia che ti ha sempre amato; solo un piccolo assaggio di una maturità di sofferenza da cui non hai ancora i mezzi per difenderti e dinanzi alla quale il bambino che è in te reagisce nell'unico modo che conosce: diventare egoista e scappare via per non provare più dolore, smettere di remare e lasciarsi inghiottire dalle onde, se necessario, anche verso la fine.

La vera forza di Thirteen Reasons Why(Tredici), nuova serie cult di Netflix capace di macinare consensi e scatenare polemiche e perplessità senza alcuna barriera generazionale non è soltanto la scelta di scoperchiare un vaso di Pandora scomodo come quello del suicidio di una sedicenne, analizzandone cause e conseguenze fra apparenti banalità adolescenziali e traumi indelebili, ma soprattutto il riuscire ad aprire una breccia nell'animo travagliato di giovani e non più giovani con l'onestà e il cuore di chi non ha paura di sporcare la patina del teen drama tradizionale in nome di un racconto più vero.

giovedì 13 aprile 2017

Beauty and The Beast




Oltre i confini del sequel e del prequel, del remake e del revival, un'altra inquietante creatura figlia del nostro tempo ha trovato terreno fertile e battuto cassa come non mai fra le braccia di Mamma Disney: l'adattamento live action dei classici dell'animazione del passato, la resurrezione delle opere che tutti conosciamo pressoché a memoria dopo anni di rewatch in cassetta e in dvd, con qualche piccolo splash di revisione e ampliamento narrativo e un'imponente apparato di scenografie e costumi che non badi a spese, per vedere realizzata la fantasia di avere attori in carne e ossa che abbiano le caratteristiche giuste per dare vita ai personaggi che hanno popolato la nostra infanzia.

Non che nella nostalgia ci sia qualcosa di sbagliato: il mito dell'età dell'oro è la ricerca di un rifugio dall'oppressione quotidiana che ci piace sempre tanto e che da qualche anno a questa parte è stato pompato come non mai(come se ormai si fosse raggiunto un limite alle cose che possano essere create, scoperte, esplorate), ma quando la riscoperta si traduce in un copycat senz'anima del tutto dipendente dal ricordo di ciò che è stato e in grado di contribuire poco o niente a un arricchimento della storia, qual dovrebbe essere l'utilità ha l'intera operazione?

domenica 19 marzo 2017

Frantz


"Les sanglots longs
Des violons
De l'automne
Blessent mon coeur
D'une langueur
Monotone.
Tout suffocant
Et blême, quand
Sonne l'heure,
Je me souviens
Des jours anciens
Et je pleure

Et je m'en vais
Au vent mauvais
Qui m'emporte
Deçà, delà,
Pareil à la
Feuille morte."
(Chanson d'automne, Paul Verlaine)

Una ragazza porta tutti i giorni i fiori sulla tomba del fidanzato: il corpo del suo amato non appartiene a quella terra, sepolto senza nome in qualche campo francese ancora insanguinato da una Guerra che si è portata via tutta la giovinezza delle Nazioni che l'hanno scatenata lasciandosi dietro solo fantasmi; il mondo che li circonda è in bianco e nero, gli unici colori concessi dal lutto e dal dolore di chi finge di poter ricominciare ma ha perso per strada troppi pezzi: la cartolina che presenta Frantz di François Ozon è di quelle che potresti trovare nei romanzi di Stefan Zweig, con la Mitteleuropa reduce dal Primo Conflitto Mondiale incapace di riappacificarsi con lo straniero quanto con sé stessa e la sua arroganza, la stessa che avrebbe riportato il mondo sull'orlo del baratro vent'anni dopo aver lavato via dagli scarponi le croste di fango delle trincee.

domenica 5 marzo 2017

Arrival


"Despite knowing the journey and where it leads... I embrace it. And I welcome every moment of it."


Una finestra di pace che guarda sul mare, incorniciata su un tramonto azzurro con l'acqua che tutto lava e tutto ritorna, una bambina che nasce e che cresce imparando ad amare il mondo e la vita che ha ricevuto, sotto gli occhi felici della mamma che non l'avrebbe mai lasciata: più che ai classici della fantascienza, le prime immagini di Arrival di Denis Villeneuve sembrano guardare a La Sottile Linea RossaThe Tree of Life di Terrence Malick, decodificandone la struggente bellezza visiva in un film che ne raccoglie il messaggio con straordinaria sincerità e candore, ma senza inciampare nella trappola di autocompiacimento di cui soffrono meccanismi autoriali ormai consolidati.

venerdì 3 marzo 2017

La La Land



"...And here’s to the fools
who dream
Crazy, as they may seem
Here’s to the hearts that break
Here’s to the mess we make."

La cosa più grande che tu possa imparare è amare e lasciarti amare, ma non al prezzo di un sogno troppo grande per rischiare di rimanere chiuso nel cassetto: i versi di Nature Boy che erano divenuti il motto del Moulin Rouge di Baz Lurhmann avrebbero potuto trovare terreno fertile anche in La La Land di Damien Chazelle, seconda prova di pregio del trentaduenne regista dopo Whiplash e film musicale nel genere quanto nell'ambientazione, se solo non fosse stato lontano anni luce dalla riproduzione di un archetipo che ponesse le basi per una romantica e appassionata fantasia d'amore come era invece accaduto nel film di Lurhmann; torna prepotente piuttosto il tema della prioritaria realizzazione delle proprie ambizioni, parecchio caro a Chazelle per ragioni che non escludiamo essere prettamente autobiografiche, rivestito di un approccio di cuore più soft che lascia indietro gli schizzi di sudore e sangue rimasti sulla batteria di Miles Teller ma non per questo rinuncia a spezzarci il cuore e a farci soffrire.

martedì 7 febbraio 2017

Vikings 4x20: The Reckoning


Tempo di bilanci, riflessioni e cambiamenti nella quarta stagione di Vikings, giunta al suo ultimo episodio con l'enorme responsabilità di traghettare l'eredità di Ragnar Lothbrok verso lidi ancora inesplorati e sconosciuti, che i figli del nostro condottiero dovranno essere in grado di sostenere nel modo migliore possibile.

Vikings 4x19: On The Eve

La grande vendetta è compiuta, ma non è ancora il momento di tornare a casa: Vikings si prepara al gran finale di questa travagliata e complessa quarta stagione decisa a dimostrare che nonostante la scomparsa di Ragnar le forze in campo siano comunque sufficienti a reggere la baracca in grande stile.

venerdì 20 gennaio 2017

Vikings 4x18: Revenge


Vendetta, vendetta, vendetta: in nome di Ragnar Lothbrok, in nome di un popolo umiliato e deciso a dimostrare la propria superiorità in tutta la sua furia, in nome di un riscatto personale che potrebbe decidere definitivamente l'affermarsi di un nuovo Leader, Vikings scatena il suo esercito più grande contro i Sassoni in un episodio che rinuncia del tutto all'opportunità di bissare la spettacolarità degli eventi di Parigi, ma che lavora con cura sulla tensione preparatoria di entrambi i fronti e sulla grande incertezza per le conseguenze che ne deriveranno. 

giovedì 19 gennaio 2017

Vikings 4x17: The Great Army



Venti gelidi che soffiano attraverso il tempo e lo spazio, portando con sè tristi notizie e propositi di vendetta che non potranno mai sopirsi finchè il sangue non sarà finalmente versato: Vikings prosegue il suo percorso a dispetto della grave perdita del suo protagonista (il cui spirito non è ancora sopito e forse non lo farà mai), affilando i coltelli e le asce in previsione di un grande scontro che dovrebbe chiudere per sempre i conti con la vecchia guardia britannica rappresentata da Re Aelle e soprattutto da Re Ecbert.

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