“They felt a strange happiness, an urgent need to reveal their hearts to each other- the urgency of lovers, which is already a gift, the very first one, the gift of the soul before the body surrenders. 'Know me, look at me. This is who I am. This is how I have lived, this is what I have loved. And you? What about you, my darling?”
Suite Francese, Irene Nemirovsky
Un quadernetto fittissimo, i caratteri lillipuziani pazientemente ritagliati per non sprecare neanche un centimetro della preziosa carta a disposizione, prigioniero di una valigia rimasta ad attendere la liberazione per 60 anni confidando che un giorno il coraggio di guardare oltre il dolore sarebbe stato reso più forte dalla rivelazione delle parole: è quasi impossibile scindere un film come Suite Française (Suite Francese) dalla storia, cinematografica essa stessa per il suo eccezionale e straziante arco narrativo, di come il manoscritto incompiuto di Irene Nemirovsky sia stato recuperato e restituito alle stampe appena nel 2004 regalando alla scrittrice, morta ad Auschwitz nel 1942 appena un mese dopo la deportazione, notorietà e immortalità inattese.
“Are you paying attention? Good. If you’re not listening carefully, you will miss things. Important things. I will not pause, I will not repeat myself, and you will not interrupt me. You think that because you’re sitting where you are and I am sitting where I am, that you are in control of what is about to happen. You are mistaken. I am in control. Because I know things that you do not know. What I need from you now is a commitment. You will listen closely and you will not judge me until I am finished. If you cannot commit to this, then please leave the room. But if you choose to stay, remember that you chose to be here. What happens from this moment forward is not my responsibility. It’s yours. Pay attention.”
Osannato da alcuni e bistrattato da altri, il biopic risponde a regole ben precise: per raccontare la vita di una personalità eminente è necessario focalizzare con attenzione il periodo storico in cui questa si è trovata suo malgrado a combattere e respirare, spingere sulle grandi imprese che nel bene e nel male hanno consegnato il suo nome alla clemenza dei posteri e usare bene il tempo a disposizione, non accontentandosi di una mera esposizione degli eventi accaduti ma impegnandosi a ritrovare l'essere umano che la leggenda ha contribuito a nascondere sotto polvere e incensi.
Poter contare su un grande protagonista è importante quanto la storia che ci si appresta a raccontare: senza il carisma di un interprete in grado di specchiarsi nello sguardo e nella sensibilità del suo personaggio, l'operazione conserverebbe il merito di aver dato visibilità a una pagina di storia più o meno conosciuta, ma sprecherebbe l'assai più preziosa opportunità di conoscere da vicino gli uomini e le donne che tanto hanno sofferto e sacrificato perchè potessimo avere un passato e un futuro.
Nel raccontare la storia di Alan Turing, il genio matematico che salvò 14 milioni di persone decifrando il codice Enigma e ricevette come ringraziamento una barbarica condanna per la sua omosessualità, The Imitation Game onora pienamente il genere grazie a un Benedict Cumberbatch in grande spolvero e a un'ossatura costruita su schemi opportunamente rodati, per avvicinarsi il più possibile al pubblico e guidarlo con mano sicura verso un messaggio di maggiore complessità e sottigliezza.
"If at this point my son should interrupt me, and ask, 'What is the difference between the war correspondent and any other man in uniform?' I would say that the war correspondent gets more drinks, more girls, better pay, and greater freedom than the soldier, but at this stage of the game, having the freedom to choose his spot and being allowed to be a coward and not be executed for it is his torture. The war correspondent has his stake - his life - in his own hands, and he can put it on this horse or that horse, or he can put it back in his pocket at the very last minute. I am a gambler. I decided to go in with Company E in the first wave."
Slightly out of focus: Robert Capa died today, May 25 1954.
"In my religion we're taught that every living thing, every leaf, every bird, is only alive because it contains the secret word for life. That's the only difference between us and a lump of clay. A word. Words are life, Liesel."
Forse è solo una questione di gusti, di impressioni sbagliate, di mancanza di sintonia e di attitudini personali, o forse no: viaggiare significa anche imbattersi in luoghi che sembrano non appartenerci affatto, respingenti e introversi, gelosi delle ombre di un passato che ha messo radici nella terra imparando a proteggersi da domande indiscrete. Berlino si erge audace e spavalda nella promessa di un futuro cristallino quanto le sue spericolate architetture, assecondando lo spirito di una contemporaneità in fermento che non ha paura di guardare oltre scommettendo su una mano azzardata, ma la sensazione che ho provato nel vederla la prima volta qualche anno fa aveva ben poco a che vedere con questa entusiasmante e pur autentica descrizione; a farsi sentire è stata una cappa amara e avvolgente, come se la città fosse stata colpita da un incantesimo di tristezza perenne impossibile da spezzare, una coltre grigia che ti attacca addosso il sospiro di un dolore tanto profondo da non poter essere sanato né cancellato, mai più.
Quella strana sensazione di sospensione e malinconia mi è subito tornata in mente durante la visione di The Book Thief (in italiano "Storia di una Ladra di Libri"), tratto dall'omonimo romanzo di Markus Zusak e diretto da Brian Percival ( Downton Abbey), al suo primo lungometraggio per il grande schermo: a fare da narratore qui è addirittura la Morte in persona, affascinata da quell'umanità contraddittoria che pur lottando costantemente per non correre troppo in fretta fra le sue braccia sembra non riuscire a smettere di inseguirla; è lei ad osservare dall'alto i protagonisti e ad insinuarsi nelle loro vite, la voce morbida e cauta come quella di un nonno che veglia teneramente sui suoi nipotini, facendoci conoscere la piccola Liesel e la storia di come sia diventata, senza neppure rendersene conto, una figlia del suo tempo.