"God says we need to love our enemies. It hard to do. But it can start by telling the truth. No one had ever asked me what it feel like to be me. Once I told the truth about that, I felt free. And I got to thinking about all the people I know. And the things I seen and done. My boy Treelore always said we gonna have a writer in the family one day. I guess it's gonna be me. "(Aibileen Clark)
Quando tenta di affrontare la delicata e spinosa questione della segregazione razziale, il cinema segue inevitabilmente due strade: la via del Colossal, dove un ricco affresco storico si accompagna a personaggi il cui eroismo finisce per essere spesso amplificato, e quella assai meno meno battuta delle piccole grandi storie, frammenti di vite normali che pur lontane dal clamore delle grandi marce vivevano nella quotidianità le tante e troppe sfumature della cattiveria umana.
è il caso di the help, tratto dal bestseller dell'esordiente Kathryn Stockett, che coi suoi 200 milioni d'incasso la scorsa estate è diventato un vero e proprio caso al botteghino americano: un successo notevole per Tate Taylor, regista praticamente esordiente voluto espressamente dalla scrittrice(entrambi sono figli del Sud nonché amici d'infanzia), le cui ragioni non sono da cercare in una sontuosa messa in scena né tanto meno in spettacolari effetti speciali.