giovedì 19 maggio 2011

Le concert


« L'orchestra è un mondo. Ognuno contribuisce con il proprio strumento, con il proprio talento. Per il tempo di un concerto siamo tutti uniti, e suoniamo insieme, nella speranza di arrivare ad un suono magico: l'armonia. Questo è il vero comunismo. Per il tempo di un concerto. »

Paese che vai, usanze che trovi: ogni popolo intreccia la propria esistenza con la propria terra portandosi dietro un cospicuo bagaglio di costumi e tradizioni, tratti talmente caratteristici che più o meno felicemente finiscono nel colorato e picaresco ventaglio dello stereotipo, il filtro attraverso il quale gli stranieri guardano e giudicano: laddove il cinema potrebbe essere uno strumento per smentire gli schemi, spesso preferisce invece sottolinearli, estremizzandoli fino alla caricatura, alla ricerca di una risata gustosa ma anche di amara riflessione. Ne" il concerto" ( le concert ) del regista rumeno francese Radu Mihăileanu si osserva al microscopio un popolo russo smarrito e disorientato dopo la fine del comunismo, figlio di una libertà formalmente restituita ma di fatto non ancora riconquistata.

La strada sembrava tutta in salita per il grande direttore Andrej Filipov, licenziato insieme a tutti i membri di origine ebrea della sua orchestra durante il governo di Brežnev, proprio nel bel mezzo del concerto di Čajkovskij, la bacchetta spezzata e il marchio di nemico del popolo, finito a fare le pulizie in quello stesso teatro che gli aveva dato tanta gloria e condannato ad ascoltare le prove della nuova mediocre orchestra; nell'attesa delle grande occasione di liberare lo spettro di quell’esibizione mai terminata, il destino bussa finalmente alla porta dandogli la possibilità di ritrovare tutti i suoi musicisti, che nel frattempo hanno intrapreso i più disparati lavori per sopravvivere : chi guida l'ambulanza, chi vende caviale di contrabbando, chi fa la comparsa per le manifestazioni pro partitiche e ai matrimoni dei boss che finiscono in sparatorie e bottigliate, eppure quasi tutti rispondono alla chiamata e laddove qualcuno non ha il coraggio di mettersi in gioco ci sono sempre i gitani, incredibili col violino e generosi e ospitali con chi ha bisogno di aiuto, pronti a fornire passaporti e abiti per tutti e a contribuire con il loro stile unico alla costruzione dell'orchestra perfetta.

Nella messa in scena dello scontro di culture Mihăileanu costruisce una galleria di personaggi incredibilmente divertenti senza risparmiare nemmeno il fronte francese che entra nella storia per riempire un vuoto nel programma di stagione, popolo ordinato pacato e un po' opportunista chiamato a scontrarsi con la chiassosa e pittoresca ciurma dei visitatori russi, dando vita a un cocktail irresistibile costellato di personaggi che sotto la caricatura portano dentro grande malinconia: Andrej, meravigliosamente interpretato dal celeberrimo in patria Aleksei Guskov, che per riuscire a ultimare il concerto ha bisogno del contributo della schiva e introversa violinista francese Anne - Marie Jacquet, nelle sembianze di una straordinaria Melanie Laurent in una performance vibrante e sentita.

Senza dimenticare infine il semplice impresario ma egualmente fondamentale Ivan Gavrilov, quello stesso membro del partito che aveva spezzato il concerto, ora nostalgico del regime ma pronto a rappresentare nuovamente l'orchestra del Bolshoi e che spera di sfruttare l'esperienza parigina per ricostruire la forza comunista, al quale il regista lascia il compito di raccogliere il messaggio più importante nascosto nella pellicola: il comunismo, quello vero, non è nei congressi di partito o nelle brutali azioni d'autorità, ma si realizza quando ciascuno mette sé stesso e le proprie abilità per la costruzione di una comune armonia, un progetto ideale che proprio nella scena del concerto finale, capace di volare al di là del parole e colpire il cuore con la sola forza delle note, raggiunge il suo apogeo.

Unica nota stonata, la scelta di doppiare i personaggi con un'improbabile e fastidioso accento italo-russo: sarebbe stato troppo chiedere un russo sottotitolato, ma avrebbe senza dubbio giovato un altro modo, qualunque modo purché meno inquietante nella resa, per rendere le differenze linguistiche fra i due mondi.

"il concerto" resta comunque una commedia degli equivoci divertente e affascinante, costruita sul conosciuto castello dello scambio d'identità che proprio sulla freschezza e la semplicità pone le forti fondamenta: a volte può sembrare inappropriato prendere in giro i cliché che ci caratterizzano e che cerchiamo giustamente di smentire, ma forse ciò che ci infastidisce tanto è che, purtroppo o per fortuna, corrispondono a verità.


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