"When it comes to love we all turn out to be our own worst enemy."
La vita è una tragicommedia dal finale irrisolto in cui siamo attori e spettatori, prigionieri di ruoli troppo ben interpretati e unici veri responsabili della nostra infelicità e caduta: Dio, le Parche e il Fato potranno anche metterci lo zampino e fare rimbalzare gli anelli sulla balaustra giusta al momento giusto, ma la macchina non si metterebbe mai in moto se ogni nostra azione non avesse una conseguenza e ogni sincera volontà di cambiare non fosse sciacquata via con grande facilità, vinta da una marea di nevrosi e tormenti nella quale forse non sguazziamo poi così male.

Nonostante l'età avanzata e una produttività inarrestabile quanto pericolosa per la qualità stessa del lavoro (un film all'anno sarebbe uno standard difficile da mantenere per qualunque regista più fresco)
Woody Allen sa bene quale storia vuole raccontare e come raccontarla, trovando ancora una volta un modo stimolante di rappresentare il dramma in più atti che l'umanità non smette di recitare dalla notte dei tempi e che con l'età sembra occupare con sempre maggiore insistenza i suoi pensieri: assecondando il monito del protagonista del suo precedente
Cafè Society che con un sorriso di rassegnazione si riferiva alla vita come a una commedia scritta da un sadico autore, a dare cuore e anima a
Wonder Wheel( in Italia,
La Ruota delle Meraviglie)
è il teatro coi suoi trucchi e meccanismi più amati e familiari, sotto le luci del
palcoscenico vintage di giostre sgangherate e vestiti sgargianti della Coney Island degli anni 50', per mettere in scena il fallimento di una donna che per nevrosi e mal di testa non può che rivaleggiare coi personaggi alleniani migliori.