"Farewell, Master Burglar. Go back to your books, your fireplace. Plant your trees, watch them grow. If more of us valued home above gold, it would be a merrier world."
"What have we done?" si chiedeva Bilbo Baggins, mentre guardava impietrito il Drago dirigersi verso la cittadina di Pontelagolungo per portare morte e distruzione fra i suoi abitanti, nel secondo capitolo della Trilogia de Lo Hobbit The Desolation of Smaug: riparte esattamente da qui, come se non ci fosse stata alcuna interruzione, The Battle of Five Armies(in italiano, lo straniante "La Battaglia delle Cinque Armate), atto finale e definitivo non solo delle avventure giovanili dello Zio di Frodo ma anche dell'ormai vasta esalogia che Peter Jackson ha costruito intorno all'epica Tolkieniana e alla mitica Terra di Mezzo Neozelandese.
"I would draw some of the great tales in fullness, and leave many only placed in the scheme, and sketched. The cycles should be linked to a majestic whole, and yet leave scope for other minds and hands, wielding paint and music and drama. "(J.R.R. Tolkien, Letter no. 131)
Nell'era degli Effetti Speciali impossibili e di una terza dimensione sempre più luminosa e immersiva, riuscire a compiacere gli occhi degli spettatori giunti in sala con una visione che valga un investimento di tempo e denaro non indifferente è facile, ma varcare il punto di saturazione lo è altrettanto: cosa rimane allora della meraviglia, di quel brivido che ti scorre lungo la schiena e che ti fa saltare dalla poltrona dov'eri comodamente seduto facendoti sentire l'essere più piccolo del mondo, dei fotogrammi che scorrono sullo schermo risucchiandoti al di là della barriera senza che tu ne accorga per poi riportarti indietro, alla fine del film, frastornato e incredulo ma con le immagini di un nuovo, magnifico panorama di immagini scolpito nel cuore e nella mente? Se c'è in questo momento un blockbuster in grado di preservare, proteggere e difendere tali preziose e uniche sensazioni, quello è il secondo capitolo della Saga de Lo Hobbit firmato da Peter Jackson.
"In a hole in the ground there lived a hobbit. Not a nasty, dirty, wet hole, filled with the ends of worms and an oozy smell, nor yet a dry, bare, sandy hole with nothing in it to sit down on or to eat: it was a hobbit-hole, and that means comfort."
In un lontano inverno di circa 10 anni fa i Tolkeniani di tutto il mondo affilavano asce e spade per accogliere la trasposizione del Signore degli Anelli filmata da Peter Jackson, ansiosi di sapere se la sacra opera del Professore fosse stata tradita o rispettata dal regista neozelandese: i puristi non saranno forse rimasti del tutto soddisfatti, ma nessuno oserebbe contestare il posto d'onore che la grandiosa trilogia cinematografica ha conquistato nella storia del Cinema, oltre che nel cuore dei tanti fan che si sono innamorati della complessa mitologia della Terra di Mezzo.
Eccoci allora di nuovo qui, carichi di speranza e aspettative, pronti a metterci nelle mani di Peter Jackson e a partire verso un'altra avventura insieme a Bilbo Baggins, zio di Frodo che fra mille misteri si era congedato poco dopo l'inizio della Compagnia dell'Anello, per ripercorrere all'indietro le tappe di un viaggio del tutto inedito per il giovane hobbit ma che per noi ha il benvenuto e piacevole sapore della rinascita.
Scritto prima che il mondo fantastico creato da Tolkien acquistasse la sua forma definitiva e concepito come un libro per ragazzi, "The Hobbit, or there and back again" non sembrava possedere la stessa forza narrativa del suo successore "The Lord of The Rings", né giustificare l'azzardosa scelta della produzione di ricavare una vera e propria trilogia dalle sue umili 340 pagine: l'opportunità di cavalcare il più possibile l'onda lunga del successo era troppo ghiotta per non essere sfruttata, ma la sceneggiatura firmata dal regista insieme a Fran Walsh e Philippa Boyens riesce per fortuna a mettere a segno un primo capitolo emozionante senza farci mai avvertire il vuoto dell'incompiuto, determinato a vestire gli abiti di un prequel fresco e leggero ma non per questo meno spettacolare ed ambizioso.
Adattando abbastanza fedelmente le prime 130 pagine del libro attingendo anche al resto della produzione dell'autore e alla pura e semplice fantasia, con "The Hobbit: An Unexpected Journey" Jackson porta sullo schermo una storia che chiede di vivere di vita propria ma che non dimentica lo strettissimo legame con la grande Epopea che la Trilogia dell'Anello ha regalato agli anni '00.