"Despite knowing the journey and where it leads... I embrace it. And I welcome every moment of it."
Una finestra di pace che guarda sul mare, incorniciata su un tramonto azzurro con l'acqua che tutto lava e tutto ritorna, una bambina che nasce e che cresce imparando ad amare il mondo e la vita che ha ricevuto, sotto gli occhi felici della mamma che non l'avrebbe mai lasciata: più che ai classici della fantascienza, le prime immagini di Arrival di Denis Villeneuve sembrano guardare a La Sottile Linea Rossa e The Tree of Life di Terrence Malick, decodificandone la struggente bellezza visiva in un film che ne raccoglie il messaggio con straordinaria sincerità e candore, ma senza inciampare nella trappola di autocompiacimento di cui soffrono meccanismi autoriali ormai consolidati.
Di codificazione di linguaggi e schemi universali si parla d'altronde nel lavoro di Villeneuve, tratto da uno dei racconti della serie Storie della tua vita di Ted Chiang e deciso a trattare l'invasione aliena della Terra come il più classico scontro di lingue e culture, dal quale è possibile uscire vincenti solo abbracciando la bandiera della comunicazione e cooperazione fra i popoli del Pianeta.
Niente cieco desiderio di morte e distruzione, mastodontiche astronavi con esplosioni atomiche di metropoli statunitensi o eroismi spicci d'occasione: qui si viene per parlare e capirsi, imparare a leggere un modo di esprimersi e di pensare completamente diverso dal nostro che coi suoi sprazzi d'inchiostro sembra comunque fatto apposta per toccare le corde dell'umile intelligenza umana, indagare sul perché mai creature provenienti da tanto lontano si siano scomodate a fare la strada.
La lingua come strumento per plasmare ciò che siamo o che potremmo diventare, ma anche il cinema e la sua capacità di riscrivere il nostro modo di vedere giocando con la nostra percezione del tempo e dello spazio e costruendo la tensione su un ribaltamento ben orchestrato, maschera di un messaggio semplice ma mai urlato, retorico o ansioso di stupire: attraverso il verde e l'azzurro dei grandi spazi aperti che filtrano dalla pulitissima camera del regista si torna all'uomo e alla sua capacità di amare, l'unicum che qualunque creatura aliena potrebbe invidiarci e che condiziona tutte le sue scelte, ben oltre la razionalità e il controllo che questa ci impone.
È nella solitudine malinconica e consapevole di Amy Adams, perno emotivo del film senza il cui sguardo limpido di meraviglia e commozione Arrival non avrebbe mai avuto la stessa forza stellare che mostra sino alla straziante sequenza finale, che si raccoglie il sacrificio che l'umanità intera compie ogni giorno: un'altra rossa dagli occhi di cielo, come la Jessica Chastain di The Tree of Life, per ricordarci che senza amore la nostra vita passerà in un lampo.
Note:
Jeremy Renner: Il ruolo di Jeremy Renner nel film è privo di sfumature particolari e funzionale unicamente alla quest personale del personaggio di Amy Adams. Dispiace un po', ma la resa generale non ne risente affatto, scusa Jeremy.
Oscarometro: Arrival è al momento il mio film degli Oscar 2017, ma le sue probabilità di vittoria erano praticamente sotto lo zero. Plus, NON MI AVETE NOMINATO AMY ADAMS E QUINDI SIETE ESSERI INDEGNI.
Un gioiellino!
RispondiEliminaNon sarebbe stato di troppo candidare anche Amy...
Avrebbero dovuto,è stata un'ingiustizia!
Elimina...la fantascienza non mi attrae per nulla, però mi hanno detto tutti che questo ho sbagliato a lasciarmelo sfuggire...
RispondiEliminaNeanche io amo molto lo sci fi, ma questo mi ha davvero colpita :)
Eliminabellissimmo film, a breve dovrei recensirlo anche io ^_^
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