I have seen the fracture of the human soul. So many broken lives, so much pain and anger, giving way to the poison of deep grief, until one crime became many. I have always wanted to believe that man is rational and similised. My very existence depends upon this hope, upon order and methods and the little grey cells, but now perhaps I am asked to listen instead to my heart. I have understood in this case that the scales of justice cannot always be evenly weighed and I must learn for once to live with the imbalance.
Stupire e conquistare con una confezione che giustificasse l'esistenza di un nuovo adattamento per il grande schermo dopo il classico di Lumet del 1974 sembrava essere sin dall'inizio la parola d'ordine per Branagh, deciso a puntare sulla sfilata di grandi star permessa dal copione e su un virtuosismo della macchina da presa da sempre amato e ostentato nelle lunghe carrellate sul treno ma soprattutto nei voli fra montagne innevate e saturi tramonti che la geografia del percorso ha da offrire, prediletti a tal punto da sfruttare ogni occasione utile per sfuggire ai vagoni e indugiare al freddo: tutto giusto e tutto collaudato per viaggiare su binari sicuri e a prova di slavina, ma incapace di lasciar sfrecciare con la giusta cura e velocità un intreccio che ha fatto scuola e insegnato a lettori e spettatori di ogni età il fascino di un'indagine condotta con pazienza e senza intermezzi rocamboleschi, da una personalità curiosa e non particolarmente empatica ma talmente iconica da rimanere scolpita nella nostra memoria indipendentemente dalle numerose incarnazioni che l'hanno liberata dalla pagina.
Ben oltre i tanto vituperati baffi asburgici e il fisico slanciato che poco hanno a che vedere con le caratteristiche fisiche del personaggio (nessuno ha mai fatto troppo caso alla mancata somiglianza del Commissario Montalbano televisivo col personaggio immaginato da Camilleri, ma di esempi ne potremmo fare a bizzeffe) il Poirot di Branagh è un action hero mancato con una background story dolorosa e mai del tutto approfondita, miscelato con ingredienti utili per uno svecchiamento auspicato ma portato a termine con poco sentimento e un unico vero obiettivo: lo slancio nell'universo del franchise di un altro detective a modo suo supereroistico dal cui grande potere derivino grandi responsabilità e con un appuntamento sul Nilo già fissato per un successivo capitolo della Saga.
Una traversata commerciale in cui a pagare il prezzo più alto è il giallo e il suo straordinario potenziale, con una carrellata di personaggi interessanti divenuti figurine cartonate in alcuni casi abbozzate a malapena e pochissimo riguardo per coloro che non conoscono la soluzione al mistero, errore fatale per ogni adattamento del genere: una pioggia di stelle che lavori bene con quanto concesso dal look e dallo script (Michelle Pfeiffer la migliore del gruppo) e alcune soluzioni creative notevoli ("l'ultima cena" finale è davvero un bel colpo) sono pur sempre un bel vedere, ma Assassinio sull'Orient Express avrebbe potuto essere qualcosa di più di un discreto pacchetto da blockbuster o della premessa all'ennesimo franchise: un film disposto a lasciarci osservare invece di limitarci al vedere, come ci ammoniscono i più grandi detective.
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