Oltre i confini del sequel e del prequel, del remake e del revival, un'altra inquietante creatura figlia del nostro tempo ha trovato terreno fertile e battuto cassa come non mai fra le braccia di Mamma Disney: l'adattamento live action dei classici dell'animazione del passato, la resurrezione delle opere che tutti conosciamo pressoché a memoria dopo anni di rewatch in cassetta e in dvd, con qualche piccolo splash di revisione e ampliamento narrativo e un'imponente apparato di scenografie e costumi che non badi a spese, per vedere realizzata la fantasia di avere attori in carne e ossa che abbiano le caratteristiche giuste per dare vita ai personaggi che hanno popolato la nostra infanzia.
Non che nella nostalgia ci sia qualcosa di sbagliato: il mito dell'età dell'oro è la ricerca di un rifugio dall'oppressione quotidiana che ci piace sempre tanto e che da qualche anno a questa parte è stato pompato come non mai(come se ormai si fosse raggiunto un limite alle cose che possano essere create, scoperte, esplorate), ma quando la riscoperta si traduce in un copycat senz'anima del tutto dipendente dal ricordo di ciò che è stato e in grado di contribuire poco o niente a un arricchimento della storia, qual dovrebbe essere l'utilità ha l'intera operazione?
Non che nella nostalgia ci sia qualcosa di sbagliato: il mito dell'età dell'oro è la ricerca di un rifugio dall'oppressione quotidiana che ci piace sempre tanto e che da qualche anno a questa parte è stato pompato come non mai(come se ormai si fosse raggiunto un limite alle cose che possano essere create, scoperte, esplorate), ma quando la riscoperta si traduce in un copycat senz'anima del tutto dipendente dal ricordo di ciò che è stato e in grado di contribuire poco o niente a un arricchimento della storia, qual dovrebbe essere l'utilità ha l'intera operazione?
Conti alla mano, accanirsi è però un po' come sparare sulla Croce Rossa: la Major conosce bene il suo pubblico e sa che non direbbe mai di no alla rispolvero di prodotti familiari e rassicuranti, per non parlare delle nuove generazioni di pulcini che non hanno fatto in tempo a recuperare gli originali e che non saranno mai troppo fiscali su eventuali differenze di tono e qualità.
Con buona pace di ogni perplessità e interrogativo e senza che la ruota abbia una qualche speranza di interrompersi, tanto vale provare a godersi la corsa senza aspettarsi nulla e riservarsi l'opportunità di essere sorpresi piacevolmente, ma come nel caso della Cinderella di Kenneth Branagh e del Maleficent con Angelina Jolie anche il Beauty And The Beast di Bill Condon non è riuscito a scrollarsi di dosso la patina di plastica insapore che sembra infestare tutti i suoi precedessori.
Non si può dire che al film manchino sfarzo e colore: ci sono i costumi e le scenografie, una CGI ben curata che non disdegna il gotico e il romantico quanto lo spettacolo più sfavillante (il numero di Be My Guest, ma anche l'essenziale scena del ballo), coreografie che provano ad allontanarsi dal cartonato per seguire i binari del musical. Il luccichio del comparto tecnico non è però un alibi sufficiente per due protagonisti privi di qualunque chimica e carisma, con una Emma Watson (fortemente voluta dagli Studios in quanto perfetta incarnazione della ragazza sensibile e studiosa dopo l'esperienza potteriana) rigida e impacciata e un Dan Stevens poco ferino e passionale a fronte della splendida controparte del cartone; gallerie di oggetti animati e pure dal character design discutibile a parte, ad azzeccare davvero il tono sono solo il nemico numero uno Gaston, grazie a un Luke Evans parecchio divertito, e il Le Tont di Josh Gad, usato ad hoc per alzare un gran polverone quando i riferimenti all'omosessualità tanto chiacchierati sono così blandi da passare facilmente inosservati agli occhi di un bambino.
La scelta di ritradurre i testi storici delle canzoni per consentire al labiale degli attori di sincronizzarsi maggiormente col doppiaggio è una novità disorientante, ma il bisogno di approfittare del nuovo mezzo per ampliare e arricchire si rivela il prezzo da pagare più alto, con le background story dei protagonisti annaffiate di clichè che finiscono per oscurare le intuizioni migliori: va bene regalare un passato ai nostri eroi, ma il bisogno di dover sempre giustificare l'imperfezione schermandola dietro a un trauma o a una delusione e impedendo ai protagonisti di essere ciò che sono senza giustificazioni a oltranza può fare un gran male.
Con buona pace di ogni perplessità e interrogativo e senza che la ruota abbia una qualche speranza di interrompersi, tanto vale provare a godersi la corsa senza aspettarsi nulla e riservarsi l'opportunità di essere sorpresi piacevolmente, ma come nel caso della Cinderella di Kenneth Branagh e del Maleficent con Angelina Jolie anche il Beauty And The Beast di Bill Condon non è riuscito a scrollarsi di dosso la patina di plastica insapore che sembra infestare tutti i suoi precedessori.
Non si può dire che al film manchino sfarzo e colore: ci sono i costumi e le scenografie, una CGI ben curata che non disdegna il gotico e il romantico quanto lo spettacolo più sfavillante (il numero di Be My Guest, ma anche l'essenziale scena del ballo), coreografie che provano ad allontanarsi dal cartonato per seguire i binari del musical. Il luccichio del comparto tecnico non è però un alibi sufficiente per due protagonisti privi di qualunque chimica e carisma, con una Emma Watson (fortemente voluta dagli Studios in quanto perfetta incarnazione della ragazza sensibile e studiosa dopo l'esperienza potteriana) rigida e impacciata e un Dan Stevens poco ferino e passionale a fronte della splendida controparte del cartone; gallerie di oggetti animati e pure dal character design discutibile a parte, ad azzeccare davvero il tono sono solo il nemico numero uno Gaston, grazie a un Luke Evans parecchio divertito, e il Le Tont di Josh Gad, usato ad hoc per alzare un gran polverone quando i riferimenti all'omosessualità tanto chiacchierati sono così blandi da passare facilmente inosservati agli occhi di un bambino.
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Come spettacolo meramente cinematografico l'ho trovato splendido, quasi avessi davanti uno sfarzosissimo musical.
RispondiEliminaIl resto è magia derivante dal capolavoro animato, superiore di mille spalle, anche in virtù della mancanza di quelle due o tre aggiunte inutili ai fini della storia.
Adattamento italiano e doppiaggio imbarazzanti, comunque, unica vera nota negativa del tutto.
a livello tecnico non gli si può dire nulla, i soldi sono stati spesi e pure bene, ma non sono riuscita a trovarci molto altro a livello di emozioni. Loro due poi mi sembravano davvero finti e fuori parte, mannaggia... doppiaggio tremendo, si, probabilmente in originale avrebbe reso meglio.
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