Statue agli ingressi delle scuole e murales più o meno elaborati sparsi per le strade di Palermo, sugli edifici e nei musei, la foto della Proclamazione che campeggia piena di speranza e soddisfazione sul cortile della facoltà di Giurisprudenza e persino quel che resta della macchina con le sue lamiere scomposte e accartocciate, la violenza dell'esplosione messa sotto vetro a fotografia imperitura dell'orrore scritto col sangue sul calendario di un infausto 1992: i cenotafi dedicati a Giovanni Falcone vegliano sul Capoluogo siciliano perchè nessuno possa permettersi il lusso di dimenticare, presenti allo sguardo degli uomini e delle donne che hanno vissuto loro malgrado la giovinezza in una città pronta a trasformarsi con regolare e terribile frequenza nel set di uno spietato western metropolitano, ma anche delle nuove generazioni di ragazzi troppo piccoli all'epoca dei fatti o nati dopo quegli anni terribili.
La linea che corre fra la lealtà al ricordo e la beatificazione è tanto sottile quanto pericolosa nell'avanzare con insistenza martellante un'unica domanda: chi era davvero l'uomo alla cui memoria cerchiamo disperatamente di aggrapparci? Come si è potuto lasciare che rimanesse tanto solo da finire nella rete degli uomini che stava cercando con ogni mezzo di combattere e dov'erano lo stato, i colleghi, gli amici che avrebbero dovuto supportarlo e proteggerlo? è un viaggio doloroso ma necessario, descritto con finezza di dettaglio e coraggiosa sagacia, quello che Giovanni Bianconi compie ne L'Assedio- troppi nemici per Giovanni Falcone, cronaca di una Guerra lunga e insidiosa che ha visto in fine i migliori servitori dello stato cadere sotto i colpi di cannone della criminalità organizzata, aprendo brecce sulla mura che avrebbero dovuto proteggerli e che si sono fatte fragili sotto il peso di invidie e gelosie o semplicemente della mancanza della lungimiranza necessaria nel guardare oltre la linea dell'orizzonte, al di là del Panorama di cavilli, burocrazia e corruzione proposto dal Regno D'Italia e dai suoi capi palesi e occulti.
Giovanni Falcone combatte nello stato che gli ha conferito poteri e titoli, convive con le spirali politiche che cercano di accaparrarsi il suo favore e di denigrarne onore e onestà liquidandoli come una farsa continua e ben orchestrata, lotta costantemente per difendersi dai colleghi che dovrebbero appoggiarlo e che preferiscono vederlo come una Primadonna desiderosa di farsi bella agli occhi di Popolino e Istituzioni: persino intellettuali e scrittori, Leonardo Sciascia incluso, non ci vanno leggeri e insistono senza tregua, dimenticando con facilità che il biglietto della notorietà ha una sola permanente destinazione, premiata con tutti gli onori da una lapide di marmo più grossa delle altre.
Il Giudice però continua a combattere e non arrendersi, prova a riprendersi le piccole cose che rendono un'esistenza umana degna di essere vissuta (la permanenza a Roma che gli consente il lusso di andare a cena fuori o semplicemente di uscire a comprare scopa e secchio per pulire il suo nuovo appartamento), si tiene stretti i pochi alfieri che gli sono sempre stati leali, mentre fuori dalle Mura altri cospirano per abbatterlo con la stoica pazienza di cattivi da romanzo; l'assedio cambia volto e si trasforma nella cronaca di un viaggio verso la morte che pagina dopo pagina non possiamo arrestare, mentre le punte di diamante di Cosa Nostra si incontrano per discutere il da farsi con toni spesso surreali, lontani dall'immagine solenne inventata dal Padrino cinematografico e per questo ancora più letali nella loro spietata e ignorante furbizia, fino al terrificante momento in cui il tritolo prende forma e trova il suo posto sulla strada.
In un turbinio di nomi e volti più o meno conosciuti, sovrani, giullari o semplici comparse nella ballata tragica di un Reame Repubblicano che non c'è più, L'Assedio giunge al suo epilogo raccogliendo i frutti amari di un Paese che non ha voluto proteggere i suoi figli migliori, ma che è ancora in tempo per cambiare le cose e scrivere un lieto fine alla sua triste storia: perchè nel maggio 1992 è andata così, ma non dovrà andare così mai più.
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