"You Can't Ask Why About Love"
La grande letteratura è sempre terreno fertile per nuovi adattamenti cinematografici, ma data la notorietà del materiale di partenza l'esigenza di creare qualcosa di nuovo che possa parlare alle nuove generazioni senza tradire lo spirito dell'opera originale è più pressante che mai: a Joe Wright, che ci piace ricordare come il regista di Orgoglio e Pregiudizio(Pride and Prejudice) ed Espiazione(Atonement) piuttosto che di Hanna e The Soloist, la sfida deve essere sembrata ordinaria amministrazione quando dopo una non riuscitissima parentesi nella modernità ha finalmente deciso di tornare alla filmografia in costume che gli aveva regalato tante soddisfazioni con l'Anna Karenina di Tolstoj.
Non contento di doversi già misurare con la complessità di un'opera iconica, Wright ha scelto di portare allo stremo la ricerca della forma perfetta trascinando la sceneggiatura di Tom Stoppard (Rosencrantz e Guilderstern sono morti, Shakespeare in love, Parade's End), ab origine concepita per un più canonico adattamento, dentro a un vecchio teatro di posa eletto a simbolo dell'ipocrisia e della falsità della buona società moscovita; a guidare i protagonisti nella gabbia dorata in cui vivono costantemente rinchiusi troviamo ancora una volta Keira Knightley, scesa dal treno della non proprio memorabile Sabina Spielrein di A Dangerous Method per salire su quello dell'infelice e sventurata eroina russa.
Il risultato di un mix tanto audace e ambizioso è una pellicola che ripaga le attese con un'architettura visiva ipnotizzante ed estatica che incorona Wright suo signore e padrone, ma che finisce per perdere qualche punto a causa delle poco carismatiche interpretazioni centrali: il sipario si alza e si aprono le danze, ogni personaggio si muove sinuosamente fra una piroetta e l'altra per favorire il cambio repentino delle sontuose e numerosissime scenografie, ogni ingranaggio si incastra perfettamente mentre la giornata lavorativa di un gruppo di impiegati si conclude a ritmo di valzer per far spazio al fratello di Anna Oblonskij e al suo amico Levin, innamorato senza speranza della diciottenne principessa Kitty.
Subito incoraggiato dai tratti caricaturali dell'Oblonskij di Matthew MacFadyen, il sapore Lurhmanniano della messa in scena si fa largo con fare imperioso grazie anche alla ricchezza dei costumi, fedeli al periodo storico e pur rivisitati con tocco deliziosamente pop fino a raggiungere l'apice durante il primo ballo fra Anna e Aleksej Vronskij, fascinoso ufficiale pronto a portare scompiglio nella vita di una donna sposatasi troppo giovane con un uomo ormai guarito dalla malattia dell'amore: il fantasma del Netherfield Ball, con Elizabeth e Darcy tanto coinvolti dalla danza da riuscire a isolare il resto dei convitati non sembrava intenzionato ad abbandonare la sala, ma mentre la catena del valzer si stringe intorno alla protagonista fino a risucchiarla in un vortice senza uscita, col crescendo della magistrale coreografia che allontana senza appello la giovane Kitty dalle attenzioni di Vronskij ogni ricordo del passato viene scacciato definitivamente, facendo posto alla passione travolgente e all'ombra di una locomotiva che attraverso lo specchio ha già iniziato la sua folle corsa verso il triste destino di Anna.
Da questo momento in poi l'appariscente diversivo scenografico inizia a rallentare per rivelarci i suoi segreti: vinta la tentazione di focalizzarsi maggiormente sugli amanti esposti sulla pubblica piazza, come da romanzo Wright non dimentica di dare il giusto risalto all'amore finalmente sbocciato fra Levin e Kitty, gli unici a meritare non un artificioso labirinto di specchi ma uno scenario reale, una casa tanto semplice e umile quanto calda e accogliente; la danza dei cubi di legno che compongono sul tavolo le lettere delle loro promesse reciproche è l'unico gioco d'incastri che i due si concedono, simbolo poetico di un amore che con tenerezza e devozione fa da contraltare ai devastanti sentimenti che turbano il sonno di Anna.
La dolce Kitty di Alicia Vikander( A Royal Affair) e il posato Levin di Domhnall Gleeson( Harry Potter, Black Mirror, Non Lasciarmi) sono perfetti, ma anche i vari figurini esposti sul palcoscenico dell'alta società non sono da meno, con le contesse pettegole interpretate da Michelle Dockery( Downton Abbey) e Ruth Wilson, l'ingenua e patetica moglie di Oblonskij interpretata da Kelly McDonald( Boardwalk Empire, Brave) e la Contessa Vronskaya nel breve ma efficace cameo di Olivia Williams.
A far scricchiolare l'impeccabile ingranaggio sono piuttosto gli stessi Anna e Vronskji, incapaci di rendere sullo schermo l'alchimia necessaria all'imponenza dei loro ruoli: se diretta a dovere la Knightley riesce a portare a casa una parte considerata da molti una delle più odiose mai scritte senza però cancellare del tutto il ricordo degli spasmi facciali di Cronenberghiana memoria, a mancare del tutto di energia è il Conte Vronskij di Aaron Taylor-Johnson, nei cui azzurrissimi occhi riusciamo a vedere solo l'impenitente ostinazione di un seduttore ma mai un autentico trasporto per Anna.
A zittire tutti è invece un grandissimo e imprevedibile Jude Law che passata l'età per interpretare il bell'ufficiale di Cavalleria veste adesso i panni di Aleksej Karenin, marito tradito e dai fermi principi religiosi, con presenza ieratica e gravitas inattaccabile, tale da non riuscire mai a scatenare nell'occhio di chi guarda quella repulsione che aveva spinto Anna ad abbandonare il suo stesso figlio per correre fra le braccia di un altro; senza rivelare troppi dettagli, è sufficiente dire che l'evocativo finale scelto da Wright per il suo personaggio rende perfettamente giustizia alla parabola di un uomo pronto a farci credere di aver finalmente tolto la maschera per mostrarsi in tutta la sua umanità, ma che invece non potrà mai davvero abbandonare il palcoscenico della finzione.
Immerso fino alla fine nelle portentose e operistiche musiche di Dario Marianelli ( altro collaboratore di lunga data di Wright e premio Oscar per Espiazione), vera e propria colonna portante della rappresentazione grazie a sonorità che mischiano partiture tragiche e imponenti a musiche popolari dal respiro gitano e limpidi carillon, Anna Karenina è un gioiello in cui il riflesso dell'accecante resa visiva finisce per far perdonare anche le mancanze più ingombranti: la forma non è tutto, ma pur avendo ballato tanto a lungo le note di questo valzer la vertigine è così esaltante che non esiteremmo a ricominciare.
Ps:
Non/ Oscarometro- 1)Anna Karenina ha vinto il Premio Oscar 2013 per i migliori costumi di Jacqueline Durran, già creatrice del leggendario vestito verde di Espiazione e responsabile degli illegalissimi suits de La Talpa di Tomas Alfredson. UNAVOIDABLE AND WELL DESERVED.
2)Cara Academy, lo capisco che dovevi dare il contentino a Spielberg avendogli tolto l'Oscar alla Regia, ma ti rendi conto che hai dato l'Oscar per la migliore scenografia a un film quasi interamente girato in interni e non alle meravigliose meravigliositudini che sono le scenografie di Anna Karenina? Ma che davvero? ARE YOU COMPLETELY MAD OR WHAT?
3)La colonna sonora di Marianelli è stata sconfitta da quella di Mychael Danna per Vita di Pi, indubbiamente meno ricca ma altrettanto bella per un milione di buone ragioni; se volete saperne di più sul lavoro del nostro Dario per il film potete leggere l'approfondimento che ho scritto qui:
Premio grazie per aver partecipato ma non poteva funzionare fra di noi- Aaron, mi eri tanto piaciuto in Nowhere Boy, veramente, lo so che ci hai provato davvero a fare Vronskij, ma l'approccio che hai avuto proprio non è andato. Perdonami, ma io mi tengo il mio amato Sean Bean, l'unico Vronskij per cui avrei potuto lasciare marito e figli e vivere da reietta, forgive me.
Ottima recensione! Il prodotto è stato presentato molto bene (anche se la scenografia girante non mi ha del tutto convinto, vedevo la storia a "scatti") ma il problema principale per me rimane la coppia protagonista, non avevano la chimica e quel qualcosa in più. La Knightley è troppo ragazzina per interpretare una donna più matura come Anna. Quasi quasi ci vedevo meglio Michelle Dockery nella parte di Anna.
RispondiEliminaMarianelli è una garanzia!
Evelina
grazie Evelina! Si,la chimica fra i protagonisti proprio non l'ho sentita, la Knightley forse non era l'attrice giusta ma lui è stato molto più freddo di lei. Il talento di Marianelli è un tesoro, non si discute :)
EliminaSi lui sembrava un ghiacciolo, poi non l'ho visto in altri film per ora, e non so effettivamente quanto bravo possa essere!
Eliminaquesta volta sono abbastanza d'accordo, anche se mi sembra che a te sia piaciuto molto più che a me.
RispondiEliminaperò, c'è un però: a me aaron johnson ha convinto e hanna è il film di di joe wright che preferisco, tiè! ;)
eh te pareva ahahah ;) Hanna è un buon film ma Joe nuota molto meglio nelle acque del period, fidati :)il Vronskij di Aaron Johnson sembra aver come unico scopo di possedere Anna e basta,per come ha impostato il personaggio non comunica altro se non il bisogno di soddisfare il desiderio di una notte e ciao mentre il personaggio si impegna decisamente di più. Tiè!
EliminaGran bella recensione e sono praticamente d'accordo su tutto!
RispondiEliminaPer me un film insopportabile, quasi come il doloroso prognatismo della Knightley di A Dangerous Method frammisto allo scomposto pop-kitsch di Baz Luhrmann. Un film in costume... da bagno che una trovata "originale" come mettere in scena la scena peggiora ulteriormente le varie caratterizzazioni. A partire dai capelli di Vronskij.
RispondiEliminabeh il punto è che il terribile capello di Vronskij è perfettamente contestualizzato nella resa scenica caricaturale di ispirazione Luhrmanniana, quindi ci sta( per quando Johnson non mi sia piaciuto),ma se hai problemi di Baz Lurhmann allora non c'erano speranze che il film ti ammaliasse...concordo sulla Keira,l'ombra delle smorfie di Cronenberg sta ancora lì purtroppo.
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