lunedì 30 settembre 2013

Expo 58




"Qui, nei prossimi sei mesi, sarebbero state riunite tutte le nazioni i cui complessi rapporti, i cui conflitti e alleanze, le cui dense, intricate storie avevano forgiato e avrebbero continuato a forgiare il destino dell’umanità. E al centro di tutto ciò, c’era questa fulgida pazzia: un gigantesco reticolo di sfere, interconnesse, imperiture, ciascuna emblematica di quella minuscola unità che l’uomo aveva imparato a dividere solo recentemente, con conseguenze a un tempo allarmanti e meravigliose: l’atomo. La sola vista gli faceva battere forte il cuore."

è un'alba gelida e incerta, ma egualmente piena di speranze e ottimismo, quella che risveglia l'Europa dal suo torpore all'indomani della Seconda Guerra Mondiale: voglia di ricostruire e di ritrovarsi, rinsaldare un'identità provata dalla consapevolezza che le ferite aperte dal conflitto sono tutt'altro che guarite e che la Guerra Fredda sta già lavorando senza sosta, rannicchiata silenziosamente nell'ombra, creando nuovi inconciliabili schieramenti; ancora lontana anni luce dalle frizzanti e rivoluzionarie atmosfere della Swinging London, l'Inghilterra del 1958 cerca protezione sotto una campana di vetro e aspetta, mentre ogni giorno si ripete uguale a sé stesso in una rassicurante quanto grigia monotonia, guardando al continente come a un faro di opportunità dove tutto può è ancora possibile.

è una realtà in divenire e piena di contraddizioni quella che Jonathan Coe ha scelto come cornice per Expo 58, suo ultimo attesissimo lavoro che usa la maschera della spy thriller per raccontare una storia di nostalgia e di rimpianti, interamente sostenuta sulle spalle della sua suggestiva ambientazione.

Improbabile 007 e goffo protagonista è Thomas Foley, giovane impiegato del Central Office of Information di Londra dalla vita già scritta e accuratamente programmata che si divide fra la diligenza sul lavoro e la tranquillità di una casa dove ogni sera lo attendono la moglie Sylvia e la figlia piccola: complici una madre belga e un padre con un passato come gestore di una taverna, la tranquillità di Thomas viene sconvolta quando viene scelto per rappresentare il suo paese supervisionando il pub britannico all'Esposizione universale di Bruxelles, il primo grande evento chiamato a testimoniare la rinascita delle nazioni dopo il Secondo conflitto.

Catapultato all'ombra dell'imponente struttura dell'Atomium, Thomas vive la sua esperienza della capitale Belga come un ragazzo in gita scolastica, ingenuo e imbranato ma per la prima volta pronto ad assaporare un po' di libertà dal soffocante controllo della famiglia: dalle pietanze tipiche alle mode e ai singoli ambienti, nel piccolo microcosmo dell'Expo tutto è riprodotto ad arte e ogni cosa sembra funzionare a dovere, ma l'artificiosità dell'incanto non tarda a svelare il suo vero volto quando Thomas viene coinvolto in un segretissimo e apparentemente complesso intrigo di spionaggio internazionale.

Nel rimaneggiare il sacro mito di James Bond e le raffinate atmosfere di John Le Carrè, Coe prende costantemente in giro le aspettative di un simpatico antieroe come Thomas Foley ma anche quelle dei suoi stessi lettori, presi per mano e guidati verso il cuore di una spy story che non trova mai il compimento tanto atteso: il gioco, gradevolmente stemperato da alcuni momenti sinceramente divertenti nonché da personaggi caricaturali e fumettistici come i due agenti che reclutano il protagonista (quasi dei novelli Dupon e Dupon, non a caso provenienti dal fumetto belga di Tintin), diventa però stancante su lunga corsa per colpa di una narrazione che dà il meglio di sé in pochi intimi istanti ma non riesce o non vuole mai veramente decollare; classici, stereotipati ed evanescenti, i personaggi fanno le loro scelte e ne pagano le conseguenze senza deviare mai dal ruolo che gli è stato offerto, ma l'ingenuo Thomas Foley e i membri della piccola grande famiglia dell'Expo riescono comunque a intrattenerci piacevolmente lungo la strada e a rivelarci tratti di umanità coi quali è impossibile non empatizzare.

Forse non il miglior lavoro del suo autore né il più adatto per iniziare a familiarizzare con la sua poetica, Expo 58 è un'opera malinconica che ci immerge con ricchezza di dettagli e un certo romanticismo nel miraggio di un tempo che è stato e che ha finito per dissolversi per sempre, polverizzato dal peso della storia e dalla disillusione dei suoi stessi protagonisti: se l'Atomium non fosse ancora lì, ben visibile in tutto il suo tragico orgoglio, potremmo dubitare che quel mondo, tanto remoto ma non troppo, sia mai davvero esistito.


 Expo 58, Jonathan Coe su laFeltrinelli.it

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