mercoledì 8 giugno 2011

the tree of life


"Unless you love, your life will flash by."

Una sala vuota e silenziosa per 10 coraggiosi avventurieri: quasi un viaggio in solitaria quello che in pochi abbiamo intrapreso con "the tree of life" di Terrence Malick, vincitore della Palma d'Oro a Cannes e lungamente atteso sin dall'uscita del sorprendente trailer.
Quando il cinema veste a lungo i panni di un divertente e costoso giocattolo alcuni dimenticano l'altra faccia della medaglia, meno roboante e appariscente eppure fondamentale: l'essere mezzo di comunicazione e espressione di un'arte, capace di filtrare pochi frammenti di vite per immagini e di amplificarle su un piano universale, rendendole parte di noi e di quello che siamo, eravamo e saremo.



L'albero della vita di Malick è un'opera dicotomica, immensa e indefinibile, macrocosmo e microcosmo, odio ed amore, vita e morte, gioia e sofferenza, semplicità ed egocentrismo, ciclo ineluttabile dell'esistenza che cerca e trova in Dio, pittore dellle meraviglie del creato e autore di un disegno sconosciuto, l'unica via  contro il dolore. La famiglia O' Brien, fragile equilibrio costruito sulla dolcezza dell'eterea e ultraterrena madre di Jessica Chastain e sulle dure maniere dell'autorevole e insoddisfatto padre di Brad Pitt è solo un pretesto, una porta dischiusa su un'umanità che si fa piccola e impotente dinanzi alla nascita dell'universo: l'unica cosa da fare è percorrere il  cammino, pur nella consapevolezza di essere solo di passaggio su questa Terra, anche se smarriti e disorientati dalla sofferenza, dalla malattia e dalla solitudine e avendo come punto fermo quella natura    placida e in eterno movimento, talmente perfetta da non potere essere altro che la testimonianza visibile della grazia divina, flebile fiammella che illumina ogni cosa.

Una vera e propria cosmogonia, dall'origine del mondo alla fine dei tempi, che trova il suo punto debole nel suo essere antinarrativa e sconfinata, incapace di chiudere il cerchio su protagonisti che senza una trama compatta finiscono per scivolare via, come acqua che cade dalla cascata, ombre in un progetto troppo grande e ambizioso: l'intera e spettacolare sequenza dell' origine dell'universo, pur sorretta dalla commovente lacrimosa di Zbigniew Preisner si dimostra ostica e superflua togliendo tempo e immediatezza all'emozione, intrappolata sotto una lastra di vetro che in compenso restituisce una purezza d'immagini -straordinario il lavoro del direttore della fotografia Emmanuel Lubezki - esteticamente stupefacente; la nascita del cosmo sarà anche grandiosa, ma per uomini che vogliono trovare sé stessi e la propria anima il miracolo della vita è decisamente più evidente nella piccola, incredibile perfezione del piedino di un neonato o di un bambino che comincia a parlare e a gattonare -ripresi con una dedizione e una delicatezza mai viste - che in qualsiasi Big bang, meterorite o dinosauro.


Servendosi come nei suoi precedenti lavori di un uso Kubrickiano della musica classica per scandire i momenti più intensi della pellicola - resta comunque un peccato che non siano stati usati gli splendidi walzer di Alexandre Desplat appositamente composti per la colonna sonora -, Terrence Malick ci lascia un manifesto di vita che sarà più difficile da comprendere per il pubblico non credente, ma che va rispettato e apprezzato come sua personalissima e sentita visione dell'intero essere. 

Un film che non è un film ma pura sperimentazione, un'esperienza sensorialmente necessaria e affascinante, un percorso che si interroga su questioni eterne e irrisolvibili, ma che ritornano con insistenza alla mente e al cuore perchè parte della nostra umanità e impossibili da dimenticare.

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