"The symbol of the House of El means hope. Embodied within that hope is the fundamental belief the potential of every person to be a force for good. That's what you can bring them."
Se dopo un progetto imponente e ambizioso come The Avengers, riprendere le fila dei rispettivi franchise e andare oltre l'esperienza del Crossover sembra meno semplice del previsto persino per gli stessi Supereroi Marvel, per la DC Comics la posta in gioco non avrebbe potuto essere più alta: messa alle strette da un mercato cinematografico letteralmente fagocitato dalla sua storica rivale e costretta a dire addio alla trilogia del Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan, gioiello del cinema supereroistico che ha saputo ridare lustro alla figura di Batman grazie a una rilettura tragica e contemporanea che ha fatto scuola, dopo aver tentato senza successo di aprire la strada a nuovi cinecomic( Green Lantern è stato un fallimento sia in termini di qualità che di incassi) aggrapparsi al mantello rosso di Superman e scommettere sul successo di una delle figure più popolari della mitologia DC era forse l'unica soluzione possibile.
Per plasmare il nuovo volto di un personaggio forse troppo perfetto e invincibile per prendere sulle spalle le incertezze della contemporaneità, non poteva esserci alleanza migliore di quella suggellata fra lo stesso Nolan in veste di autore del soggetto e supervisore, il suo fedelissimo sceneggiatore David S. Goyer e Zack Snyder (ultimamente poco premiato da pubblico e critica ma utilissimo alla causa grazie al lavoro svolto in 300 e Watchmen) dietro la macchina da presa; nonostante l'illustre biglietto da visita del promettente triumvirato, Man of Steel ha però tradito parte delle aspettative rivelandosi un blockbuster spettacolare, apprezzabile e senza dubbio non privo di meriti, ma troppo ipercarico e disorganico per raggiungere davvero l'eccellenza.
A 7 anni dal nostalgico e poco apprezzato Superman Returns di Bryan Singer, Man of Steel si lascia alle spalle il passato cercando piuttosto per Clark Kent un legame di fratellanza con Bruce Wayne, semplice uomo privo di poteri sovrannaturali che combatte l'oscurità di un mondo reale e spietato convivendo continuamente col peso delle proprie scelte: spazzate via le venature ironiche che erano sempre state parte integrante dell'iconografia del personaggio, il nuovo Clark non è il giornalista con gli occhiali spessi e l'aria da imbranato che avevamo imparato a conoscere, bensì un aitante giovane lasciato solo coi propri demoni costretto a vagare senza meta nel tentativo di trovare il proprio posto nel mondo: persino la S di Superman, storico simbolo dell'Eroe, viene spersonalizzata e sottratta al suo legittimo proprietario per farsi portavoce di un più ampio e universale richiamo di speranza.
Lontano anni luce dall'esperienza di Sucher Punch, Zack Snyder abbandona il rallenty e l'artificiosità della messa in scena che avevano sempre caratterizzato i suoi precedenti lavori optando per una vertiginosa camera a mano che trova la sua dimensione ideale soprattutto nei flashback dedicati all'infanzia di Clark, brevi e delicate parentesi che pur mettendo alla prova l'equilibrio della narrazione rimangono i momenti più intensi e indimenticabili della pellicola.
Alle prese con l'onere di dover raccogliere l'eredità dell'incarnazione di quel Christopher Reeve che aveva saputo rivelarsi un essere eccezionale, coraggioso e inarrestabile anche nella vita reale, Henry Cavill non cerca confronti e veste i suoi nuovi panni in modo più che azzeccato, grazie a una possente fisicità e a un'aria da perfetto e affidabile bravo ragazzo americano; l'attore britannico usa tutti i mezzi a sua disposizione per rendere al meglio la complessità di un supereroe in fieri che non ha ancora compreso la grandezza del proprio destino, ma privato dell'opportunità di spiegarsi a causa di un curiosamente esiguo numero di battute il suo Clark riesce ad essere davvero un protagonista compiuto solo se filtrato attraverso il fiero sguardo dei suoi padri, l'alieno Jor El e il terrestre Jonathan Kent.
Gestita con tocco decisamente "Nolaniano", la paternità di entrambi (Nolan affronta il tema in diversi suoi lavori, da The Prestige a Inception fino allo Stesso Cavaliere Oscuro) fa collidere i loro rispettivi universi generando il tanto atteso conflitto fra divinità e umanità, ma il saggio Kryptoniano interpretato da Russell Crowe vince comunque la sfida grazie a uno script che non solo si rifiuta di concedere al padre adottivo dello sprecato Kevin Costner uno screen time adeguato, ma lascia che il personaggio giustifichi i propri limiti con soluzioni forzate e deludenti: Bruce Wayne poteva contare su Alfred, sempre pronto a sostenerlo e a ricordargli l'opportunità di fare la scelta che nessun altro avrebbe osato affrontare, mentre l'unico consiglio che Clark può ricevere da Jonathan per proteggere la sua umanità è di continuare a nascondersi e a restare nell'ombra, reprimendo sé stesso di fronte a un mondo che mai sarebbe stato in grado di capire e che avrebbe potuto soltanto odiarlo e temerlo.
Figura chiave nel nuovo capitolo delle avventure dell'Uomo d'Acciao è comunque l'incontro/scontro col generale Zod(interpretato da un eccellente Michael Shannon) che con i suoi straordinari propositi di conquista fa tremare non solo i grattacieli di Metropolis ma anche l'intera struttura della pellicola, sovraccaricandola fino a condurla al collasso: dopo una prima parte che si prende tutto il tempo per ingranare portandoci gradualmente sulle tracce dell'eroe, Zack Snyder cerca la via di mezzo ideale fra il freddo universo dell'Uomo Pipistrello e quello più energico e abbagliante degli Eroi Marvel buttandoci addosso un secondo tempo caotico e fracassone, dove i temi più interessanti proposti dal reboot finiscono risucchiati in un vortice di distruzione eccessivo e interminabile; l'importanza del libero arbitrio e le conseguenze della sua negazione, il razzismo genetico voluto dai Kryptoniani e lo sfruttamento estremo delle risorse naturali che ha causato la distruzione del loro stesso pianeta tentano timidamente di farsi strada fra i detriti mentre Superman e Zod si inseguono e si affrontano travolgendo tutto ciò che toccano, con la presunzione di dimostrare che quanto accaduto alla New York degli Avengers era in fondo ben poca cosa.
Quasi incapace di rendersi conto degli effetti devastante della sua forza immane, il nuovo simbolo di speranza del pianeta Terra non viene allo stesso tempo aiutato dai poco velati riferimenti cristologici che pur cavalcando l'onda messianica da sempre caratteristica del suo personaggio lo rendono ancora più divino e impenetrabile accentuando piuttosto la ben più evidente tragicità di Zod, privato di qualsiasi scelta da un'esistenza progettata geneticamente per avere come unico scopo la difesa a oltranza del popolo kryptoniano.
Fra magneti terraformanti e intere cittadine rase al suolo, Superman trova ovviamente anche il tempo di innamorarsi della bella Lois Lane, reinventata ad arte per essere la ragazza moderna che difficilmente si lascerebbe ingannare dall'identità segreta del Supereroe come una volta: il casting di Amy Adams era perfetto, ma la giornalista del Daily Planet risulta troppo incolore perchè si possa realmente prendere a cuore il suo destino e trovare credibile la sua storia con Clark, accelerata da un lecito tradimento dell'opera originale per poi soffocare nell'inarrestabile virata action del film.
Ad essere in forma smagliante è invece Hans Zimmer, che marcando l'apocalisse imminente coi suoi tamburi da brivido ci regala una colonna sonora grandiosa che permette all'Uomo D'Acciaio di spiccare il volo in tutta la sua potenza.
Mentre il nostro eroe si prepara a varcare la soglia del Daily Planet dopo aver finalmente indossato i suoi mitici occhiali, Man of Steel si congeda con la promessa di un sequel ormai certo lasciandoci nell'attesa l'agrodolce sapore dell'occasione mancata: volere osare una storia originale e inseguire il futuro è cosa gradita, ma se non si ha il coraggio di portarla avanti fino in fondo preferendo un instabile ibrido a un'opera dall'identità indipendente e definita, il pur coraggioso tentativo non può certo dirsi del tutto riuscito.
ps:
la notizia che nel sequel di Man of Steel ci sarà anche Batman non mi è piaciuta affatto. Lo so, il mondo dei fumetti è potenzialmente senza limiti e non bisognerebbe restare ancorati ad alcune versioni cinematografiche troppo a lungo, però accidenti, la trilogia del Cavaliere Oscuro si è appena conclusa, come potete pretendere che vi dia la mia benedizione? Ve lo dico, I'M NOT PLEASED.
Lontano anni luce dall'esperienza di Sucher Punch, Zack Snyder abbandona il rallenty e l'artificiosità della messa in scena che avevano sempre caratterizzato i suoi precedenti lavori optando per una vertiginosa camera a mano che trova la sua dimensione ideale soprattutto nei flashback dedicati all'infanzia di Clark, brevi e delicate parentesi che pur mettendo alla prova l'equilibrio della narrazione rimangono i momenti più intensi e indimenticabili della pellicola.
Alle prese con l'onere di dover raccogliere l'eredità dell'incarnazione di quel Christopher Reeve che aveva saputo rivelarsi un essere eccezionale, coraggioso e inarrestabile anche nella vita reale, Henry Cavill non cerca confronti e veste i suoi nuovi panni in modo più che azzeccato, grazie a una possente fisicità e a un'aria da perfetto e affidabile bravo ragazzo americano; l'attore britannico usa tutti i mezzi a sua disposizione per rendere al meglio la complessità di un supereroe in fieri che non ha ancora compreso la grandezza del proprio destino, ma privato dell'opportunità di spiegarsi a causa di un curiosamente esiguo numero di battute il suo Clark riesce ad essere davvero un protagonista compiuto solo se filtrato attraverso il fiero sguardo dei suoi padri, l'alieno Jor El e il terrestre Jonathan Kent.
Gestita con tocco decisamente "Nolaniano", la paternità di entrambi (Nolan affronta il tema in diversi suoi lavori, da The Prestige a Inception fino allo Stesso Cavaliere Oscuro) fa collidere i loro rispettivi universi generando il tanto atteso conflitto fra divinità e umanità, ma il saggio Kryptoniano interpretato da Russell Crowe vince comunque la sfida grazie a uno script che non solo si rifiuta di concedere al padre adottivo dello sprecato Kevin Costner uno screen time adeguato, ma lascia che il personaggio giustifichi i propri limiti con soluzioni forzate e deludenti: Bruce Wayne poteva contare su Alfred, sempre pronto a sostenerlo e a ricordargli l'opportunità di fare la scelta che nessun altro avrebbe osato affrontare, mentre l'unico consiglio che Clark può ricevere da Jonathan per proteggere la sua umanità è di continuare a nascondersi e a restare nell'ombra, reprimendo sé stesso di fronte a un mondo che mai sarebbe stato in grado di capire e che avrebbe potuto soltanto odiarlo e temerlo.
Figura chiave nel nuovo capitolo delle avventure dell'Uomo d'Acciao è comunque l'incontro/scontro col generale Zod(interpretato da un eccellente Michael Shannon) che con i suoi straordinari propositi di conquista fa tremare non solo i grattacieli di Metropolis ma anche l'intera struttura della pellicola, sovraccaricandola fino a condurla al collasso: dopo una prima parte che si prende tutto il tempo per ingranare portandoci gradualmente sulle tracce dell'eroe, Zack Snyder cerca la via di mezzo ideale fra il freddo universo dell'Uomo Pipistrello e quello più energico e abbagliante degli Eroi Marvel buttandoci addosso un secondo tempo caotico e fracassone, dove i temi più interessanti proposti dal reboot finiscono risucchiati in un vortice di distruzione eccessivo e interminabile; l'importanza del libero arbitrio e le conseguenze della sua negazione, il razzismo genetico voluto dai Kryptoniani e lo sfruttamento estremo delle risorse naturali che ha causato la distruzione del loro stesso pianeta tentano timidamente di farsi strada fra i detriti mentre Superman e Zod si inseguono e si affrontano travolgendo tutto ciò che toccano, con la presunzione di dimostrare che quanto accaduto alla New York degli Avengers era in fondo ben poca cosa.
Quasi incapace di rendersi conto degli effetti devastante della sua forza immane, il nuovo simbolo di speranza del pianeta Terra non viene allo stesso tempo aiutato dai poco velati riferimenti cristologici che pur cavalcando l'onda messianica da sempre caratteristica del suo personaggio lo rendono ancora più divino e impenetrabile accentuando piuttosto la ben più evidente tragicità di Zod, privato di qualsiasi scelta da un'esistenza progettata geneticamente per avere come unico scopo la difesa a oltranza del popolo kryptoniano.
Fra magneti terraformanti e intere cittadine rase al suolo, Superman trova ovviamente anche il tempo di innamorarsi della bella Lois Lane, reinventata ad arte per essere la ragazza moderna che difficilmente si lascerebbe ingannare dall'identità segreta del Supereroe come una volta: il casting di Amy Adams era perfetto, ma la giornalista del Daily Planet risulta troppo incolore perchè si possa realmente prendere a cuore il suo destino e trovare credibile la sua storia con Clark, accelerata da un lecito tradimento dell'opera originale per poi soffocare nell'inarrestabile virata action del film.
Ad essere in forma smagliante è invece Hans Zimmer, che marcando l'apocalisse imminente coi suoi tamburi da brivido ci regala una colonna sonora grandiosa che permette all'Uomo D'Acciaio di spiccare il volo in tutta la sua potenza.
Mentre il nostro eroe si prepara a varcare la soglia del Daily Planet dopo aver finalmente indossato i suoi mitici occhiali, Man of Steel si congeda con la promessa di un sequel ormai certo lasciandoci nell'attesa l'agrodolce sapore dell'occasione mancata: volere osare una storia originale e inseguire il futuro è cosa gradita, ma se non si ha il coraggio di portarla avanti fino in fondo preferendo un instabile ibrido a un'opera dall'identità indipendente e definita, il pur coraggioso tentativo non può certo dirsi del tutto riuscito.
ps:
la notizia che nel sequel di Man of Steel ci sarà anche Batman non mi è piaciuta affatto. Lo so, il mondo dei fumetti è potenzialmente senza limiti e non bisognerebbe restare ancorati ad alcune versioni cinematografiche troppo a lungo, però accidenti, la trilogia del Cavaliere Oscuro si è appena conclusa, come potete pretendere che vi dia la mia benedizione? Ve lo dico, I'M NOT PLEASED.
Sono uno dei pochi a cui non è dispiaciuto, pur ammettendone i numerosi demeriti e le falle di sceneggiatura. Snyder a questo giro è ben lontano da quel capolavoro che fu "Watchmen" ma, se non lo si prende sul serio come chiede, risulta gradevole.
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