"We have to have the conversations our governments can't."
Diffidenti, spaventati, bloccati in un mondo che alza barriere per proteggersi e respinge a calci chi prova a cercare la salvezza scavalcandole, gli occhi pieni delle immagini di guerra che potrebbero bussare da un momento all'altro alla nostra porta e dell'impotenza di non potere fare nulla per scongiurare l'inevitabile: il legame crudele che congiunge il nostro presente alla Guerra Fredda attraversa il Ponte delle Spie (Bridge of Spies) di Steven Spielberg e punta il dito contro la giostra della storia, decisa a continuare implacabile il suo giro solo per ripetere sé stessa e non imparare mai del tutto la lezione.
Amarezza e disillusione non possono però trovare spazio nel luminoso regno del cinema di Steven Spielberg: per quanto disperata sia la situazione e per quanto tetra possa sembrare l'ora dell'umanità ci sarà sempre qualcuno disposto a fare la cosa giusta e a combattere per un mondo migliore, uomini come tanti trascinati dall'onda degli eventi e strappati via alla rassicurante quotidianità che aveva reso forti i loro sogni e le loro speranze, forti abbastanza da dare loro il coraggio di giocare una partita a carte col destino e rischiare tutto pur di pescare la mano vincente.
Dopo aver osservato la granitica figura di Abraham Lincoln attraverso le luci fioche delle stanze del potere dove il dibattito sull'abolizione della schiavitù ha cambiato per sempre il volto degli Stati Uniti, Spielberg torna a interrogarsi sulla Nazione che tanto ama e suoi valori che dovrebbero sostenerne il cuore e le fondamenta: attraverso gli occhi buoni e onesti dell'avvocato Donovan, gli stessi che avevano guidato l'assalto a Omaha Beach in Saving Private Ryan, Bridge of Spies racconta di una giustizia in grado di garantire difesa e rispetto anche al più vilipeso dei criminali, di battaglie combattute mantenendo nervi d'acciaio e imbracciando come armi parole limate con la massima cura, di una civiltà occidentale che dopo essere arrivata tanto vicina all'autodistruzione vive appesa a un filo certa che tutto possa ripetersi e che solo misure radicali possano impedire alle nemesi che le germogliano dentro di prosperare.
Come in Saving Private Ryan e Shindler's list ogni uomo è importante e ha il diritto di essere salvato, ma il balzo che Bridge of Spies deve compiere nei riguardi dei suoi due fratelli cinematografici è notevole: vinta una Guerra efferata dove i nemici avevano dimostrato di essere capaci dei più disgustosi crimini contro l'umanità tanto quanto di poter fare qualunque cosa pur di portare a casa la pelle, le parti del conflitto fra Usa e Urss tentano di sfuggire al pericolo di un confronto diretto lavorando dietro le quinte e affidando le missioni più ardite a uomini dall'apparenza composta e ordinaria, spie e negoziatori lontani dal glamour e dall'azione che sappiano portare avanti stoicamente il proprio lavoro senza aspettarsi medaglie e riconoscimenti alla fine del viaggio.
Palcoscenico ideale per uno scontro fra Titani che solo la fine del secolo e l'allontanarsi del ricordo della Seconda Guerra Mondiale avrebbe potuto riconciliare, Berlino mostra le sue gelide strade ancora ferite dai bombardamenti ed espone il suo fianco spezzato da muri e strisce della morte, addormentata da un incantesimo che impasta neve e disperazione nello spettro grigio e bluastro della fotografia di Janusz Kaminski.
Esperto conoscitore di tutti i piccoli trucchi e furberie che la giurisprudenza tollera e consente di buon grado, l'avvocato Donovan del solidissimo Tom Hanks è un padre di famiglia che conosce bene l'etica della sua professione e di un paese che stretto nella morsa della paura ha rischiato spesso di smarrirsi e non riuscire più a riconoscersi: legato al suo avvocato da stima e rispetto reciproci, la spia sovietica interpretata da Mark Rylance (grande attore di teatro che rivedremo presto in The BFG, il film che lo stesso Spielberg ha tratto dal libro di Roald Dahl) è uno dei personaggi più affascinanti e complessi che il regista di E.T. ci abbia regalato negli ultimi anni.
Sciacquata via la grottesca amarezza che ha sempre caratterizzato il loro cinema per varcare senza traumi i cancelli della visione spielberghiana, i fratelli Coen firmano uno script che attraversa la linea del legal drama e approda alla spy story di John Le Carrè, facendo brillare i personaggi attraverso dialoghi sottili e piccoli gesti invisibili che solo un occhio fine come quello del regista poteva trasformare in grande cinema: quanta straordinaria umanità si può raccontare con un semplice incrocio di sguardi, una stretta di mano rifiutata, lo sportello di un'automobile aperto con apparente freddezza.
Note:
-assente per motivi di salute John Williams ha dovuto per la prima volta lasciare il posto a Thomas Newman: il risultato è stato uno score dalle atmosfere solenni ma non privo di conciliazione, un felice mix di sonorità che portano la firma del loro autore ma non mancano di omaggiare lo storico compositore di fiducia di Spielberg.
-la scena dell'inseguimento in metropolitana è una delle poche sequenze d'azione del film ed è solo nei primi minuti, ma quanto è meravigliosa e splendidamente girata, QUANTO.
Dopo aver osservato la granitica figura di Abraham Lincoln attraverso le luci fioche delle stanze del potere dove il dibattito sull'abolizione della schiavitù ha cambiato per sempre il volto degli Stati Uniti, Spielberg torna a interrogarsi sulla Nazione che tanto ama e suoi valori che dovrebbero sostenerne il cuore e le fondamenta: attraverso gli occhi buoni e onesti dell'avvocato Donovan, gli stessi che avevano guidato l'assalto a Omaha Beach in Saving Private Ryan, Bridge of Spies racconta di una giustizia in grado di garantire difesa e rispetto anche al più vilipeso dei criminali, di battaglie combattute mantenendo nervi d'acciaio e imbracciando come armi parole limate con la massima cura, di una civiltà occidentale che dopo essere arrivata tanto vicina all'autodistruzione vive appesa a un filo certa che tutto possa ripetersi e che solo misure radicali possano impedire alle nemesi che le germogliano dentro di prosperare.
Come in Saving Private Ryan e Shindler's list ogni uomo è importante e ha il diritto di essere salvato, ma il balzo che Bridge of Spies deve compiere nei riguardi dei suoi due fratelli cinematografici è notevole: vinta una Guerra efferata dove i nemici avevano dimostrato di essere capaci dei più disgustosi crimini contro l'umanità tanto quanto di poter fare qualunque cosa pur di portare a casa la pelle, le parti del conflitto fra Usa e Urss tentano di sfuggire al pericolo di un confronto diretto lavorando dietro le quinte e affidando le missioni più ardite a uomini dall'apparenza composta e ordinaria, spie e negoziatori lontani dal glamour e dall'azione che sappiano portare avanti stoicamente il proprio lavoro senza aspettarsi medaglie e riconoscimenti alla fine del viaggio.
Palcoscenico ideale per uno scontro fra Titani che solo la fine del secolo e l'allontanarsi del ricordo della Seconda Guerra Mondiale avrebbe potuto riconciliare, Berlino mostra le sue gelide strade ancora ferite dai bombardamenti ed espone il suo fianco spezzato da muri e strisce della morte, addormentata da un incantesimo che impasta neve e disperazione nello spettro grigio e bluastro della fotografia di Janusz Kaminski.
Esperto conoscitore di tutti i piccoli trucchi e furberie che la giurisprudenza tollera e consente di buon grado, l'avvocato Donovan del solidissimo Tom Hanks è un padre di famiglia che conosce bene l'etica della sua professione e di un paese che stretto nella morsa della paura ha rischiato spesso di smarrirsi e non riuscire più a riconoscersi: legato al suo avvocato da stima e rispetto reciproci, la spia sovietica interpretata da Mark Rylance (grande attore di teatro che rivedremo presto in The BFG, il film che lo stesso Spielberg ha tratto dal libro di Roald Dahl) è uno dei personaggi più affascinanti e complessi che il regista di E.T. ci abbia regalato negli ultimi anni.
Sciacquata via la grottesca amarezza che ha sempre caratterizzato il loro cinema per varcare senza traumi i cancelli della visione spielberghiana, i fratelli Coen firmano uno script che attraversa la linea del legal drama e approda alla spy story di John Le Carrè, facendo brillare i personaggi attraverso dialoghi sottili e piccoli gesti invisibili che solo un occhio fine come quello del regista poteva trasformare in grande cinema: quanta straordinaria umanità si può raccontare con un semplice incrocio di sguardi, una stretta di mano rifiutata, lo sportello di un'automobile aperto con apparente freddezza.
Note:
-assente per motivi di salute John Williams ha dovuto per la prima volta lasciare il posto a Thomas Newman: il risultato è stato uno score dalle atmosfere solenni ma non privo di conciliazione, un felice mix di sonorità che portano la firma del loro autore ma non mancano di omaggiare lo storico compositore di fiducia di Spielberg.
-la scena dell'inseguimento in metropolitana è una delle poche sequenze d'azione del film ed è solo nei primi minuti, ma quanto è meravigliosa e splendidamente girata, QUANTO.
non si può dire che spielberg non sappia fare un film, proprio no :) qui con anche uno script di ottimi dialoghi. Forse il film nel complesso non arriva all'eccellenza, forse perchè ci si potevano aspettare anche note più alte nel mezzo di un racconto così pacato, ma è fatto con arte, questo è certo.
RispondiEliminaSul fatto che Spielberg ne sappia non ci sono dubbi :) il film è molto pacato, molto americano e molto "Spielberghiano", nonostante l'intervento dei Coen, ma mi ha comunque molto colpito e devo dire l'ho apprezzato assai più del precedente Lincoln.
EliminaMi è piaciuto molto questo film, anche se ci ho trovato poco di Spielberg e più dei Coen! Se vuoi leggere la mia recensione gattaracinefila.blogspot.it
RispondiElimina