“They felt a strange happiness, an urgent need to reveal their hearts to each other- the urgency of lovers, which is already a gift, the very first one, the gift of the soul before the body surrenders. 'Know me, look at me. This is who I am. This is how I have lived, this is what I have loved. And you? What about you, my darling?”
Suite Francese, Irene Nemirovsky
Un quadernetto fittissimo, i caratteri lillipuziani pazientemente ritagliati per non sprecare neanche un centimetro della preziosa carta a disposizione, prigioniero di una valigia rimasta ad attendere la liberazione per 60 anni confidando che un giorno il coraggio di guardare oltre il dolore sarebbe stato reso più forte dalla rivelazione delle parole: è quasi impossibile scindere un film come Suite Française (Suite Francese) dalla storia, cinematografica essa stessa per il suo eccezionale e straziante arco narrativo, di come il manoscritto incompiuto di Irene Nemirovsky sia stato recuperato e restituito alle stampe appena nel 2004 regalando alla scrittrice, morta ad Auschwitz nel 1942 appena un mese dopo la deportazione, notorietà e immortalità inattese.
Altrettanto difficile è affrontare il lavoro del regista e sceneggiatore Saul Dibb dimenticando quanto sia unico e imprescindibile il contributo di una penna presente agli eventi narrati come quella della Nemirovsky, decisa a cantare la grande tragedia del suo tempo con lucidità sconvolgente e guardando ben oltre l'apparente inflessibilità degli schieramenti: dinanzi alla tragedia della Guerra, i compaesani del piccolo Borgo di Bussy scelgono con coscienza di mettere da parte un'ipocrita solidarietà per rifugiarsi in gerarchie feudali vecchie di generazioni, trasformando l'Occupazione nell'ennesima opportunità per mantenere lo status quo e regolare vecchi conti personali.
Perché dare libero sfogo alla propria meschinità arrivando a preferire l'autodistruzione alla comprensione è l'unica via che i figli del Secolo, resi ferini e gretti dalla consapevolezza che la fine potrebbe potrebbe arrivare precipitosamente dall'oggi al domani, può ancora concepire e tollerare; in una nuvola già tossica di invidie e tradimenti, i belli e aitanti soldati tedeschi iniziano a penetrare nella comunità col garbo inatteso di chi non ha voglia di creare eccessivo disturbo, guardati con amicizia da visconti e viscontesse e desiderati dalle donne rimaste sole troppo a lungo.
Mentre la bandiera del Terzo Reich sventola presuntuosa sulla piazza Principale del Paese, ogni personaggio non è più in grado di proteggersi dalla sua stessa imperfetta umanità, esasperata dal livore soffocante per un sistema iniquo e da un Ideologia che non fa sconti ma anche dalla nascita di sentimenti che tendono alle loro vittime inattese trappole di passione, romanticismo o tenerezza.
Non è dunque difficile capire il dilemma di Lucille, taciturna fanciulla dai capelli biondi sposata a un uomo che non ama e che si era allontanato da lei molto prima di andare a combattere, chiusa in una grande casa di campagna insieme a una suocera austera e respingente; la musica del Tenente Bruno Von Falk, leale allo spirito comunitario della Nazione ma inconsapevolmente pronto a rinunciarvi in nome di un sentimento più alto, riempie per la prima volta quelle stanze fredde di un calore dolce, irresistibile e considerate le terribili premesse storiche, scandaloso anche nel più casto degli sguardi.
Per Saul Dibb, spinto sotto i riflettori dal buono ma non eccellente The Duchess con Keira Knightley, la sfida di confezionare un buon adattamento è stata resa doppiamente difficile dal peso di una responsabilità implacabile: onorare il valore e il candido coraggio del materiale di partenza, ma anche rimaneggiare, limare e aggiungere quando necessario per contenere il senso di incompiutezza che a cui Tempesta di Giugno e Dolce, appena 2 movimenti della monumentale opera in 5 romanzi che Suite Francaise avrebbe dovuto essere, non possono sfuggire; focalizzandosi unicamente su un secondo volume più cinematograficamente versatile per temi e contenuti per riservare all'esodo dei Parigini verso le campagne (presente in Tempesta di Giugno) il giusto spazio nelle prime scene della pellicola, il regista britannico onora l'impegno con un lavoro attento, spietato e duro all'occorrenza e determinato a non cedere al melodramma più sfacciato neppure un centimetro di terreno.
Immaginare la maggiore versatilità di una firma come quella di Joe Wright ( Pride and Prejudice, Atonement) o Cary Fukunaga (Jane Eyre) dietro all'adattamento dell'opera è quasi scontato, ma Saul Dibb riesce a conquistarsi la nostra fiducia lavorando con tocco personale per scrutare le emozioni dei protagonisti di primo piano in primo piano, seguendoli in punta di piedi su pavimenti scricchiolanti per accarezzarne occhiate fugaci e mani che appena provano a sfiorarsi, fino all'abbandono dei baci affamati di un bisogno d'intesa e comprensione che affida al tocco dei sensi, e alla musica come sua espressione più elevata(peccato che il tema di Bruno scritto da Alexandre Desplat sia così breve), il compito di domandare ciò che le parole non avrebbero mai osato chiedere; l'altra faccia della medaglia è un senso di angoscia crescente che gioca al meglio le sue carte a partire dai primi bombardamenti tedeschi fino all'arrivo delle truppe nemiche per le strade, annunciato dal conquistatore con la pomposa teatralità di un passo di marcia costante e insistente, per poi esplodere nel panico quando le malelingue dei paesani gretti scatenano nelle mani degli occupanti un'asfissiante caccia alle streghe.
Non la più grande storia d'amore mai raccontata come recita orgogliosamente il poster di lancio del film ma una storia d'amore come molte altre, taciute e mai rivelate, in uno dei periodi più bui della nostra storia e a quel periodo indissolubilmente legata, da una contemporaneità unica nel suo genere: se le delicate performance di Michelle Williams e Matthias Schoenaerts non fossero abbastanza, bastano le sequenze finali dedicate al manoscritto originale della Nemirovsky a farci capitolare ripensando a ogni sguardo rubato e battito di cuore, ma anche alle meschinità esasperate di un'umanità sfiancata da una Guerra che sembrava impossibile vincere: eccoli lì, i due movimenti di Suite Francese, pronti a completarsi e sostenersi a vicenda, nel segno di quella dolce malinconia che tutte le opere incompiute hanno la fortuna e la sfortuna di possedere.
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