“They felt a strange happiness, an urgent need to reveal their hearts to each other- the urgency of lovers, which is already a gift, the very first one, the gift of the soul before the body surrenders. 'Know me, look at me. This is who I am. This is how I have lived, this is what I have loved. And you? What about you, my darling?”
Suite Francese, Irene Nemirovsky
Un quadernetto fittissimo, i caratteri lillipuziani pazientemente ritagliati per non sprecare neanche un centimetro della preziosa carta a disposizione, prigioniero di una valigia rimasta ad attendere la liberazione per 60 anni confidando che un giorno il coraggio di guardare oltre il dolore sarebbe stato reso più forte dalla rivelazione delle parole: è quasi impossibile scindere un film come Suite Française (Suite Francese) dalla storia, cinematografica essa stessa per il suo eccezionale e straziante arco narrativo, di come il manoscritto incompiuto di Irene Nemirovsky sia stato recuperato e restituito alle stampe appena nel 2004 regalando alla scrittrice, morta ad Auschwitz nel 1942 appena un mese dopo la deportazione, notorietà e immortalità inattese.