
Ad aiutarci in tal senso arriva la parentesi, bellissima, che vede Ragnar consegnarsi a un ormai anziano Re Ecbert insieme al figlio Ivar e finire dietro le sbarre di una prigione che ormai lo attendeva da troppo tempo: da sempre simili per carattere, curiosità e ambizioni, i due uomini dialogano e si confrontano come se gli anni non fossero passati, consapevoli di come gli interessi dei rispettivi popoli li abbiano divisi ma allo stesso tempo di quanto le loro anime siano effettivamente affini. Come se il tempo non fosse mai passato, Ragnar e Ecbert iniziano uno splendido confronto che li porta a interrogarsi sull'esistenza del divino e sulla possibilità che entrambi abbiano seguito falsi ideali, confortati solo dal ricordo di quell'Athelstan per il cui amore i due non avevano mai smesso di contendere e che tanto importante era per l'equilibrio della serie, filtro necessario fra l'occhio ignorante e curioso del pubblico e ciò che ci si prospettava sul piccolo schermo; ha un senso che finalmente il cerchio si chiuda con la comparsa di Alfred, futuro Alfredo il grande e nella finzione figlio di Athelstan, destinato per ironia della sorte ad essere un acerrimo avversario del popolo di Ragnar.

Mentre Bjorn è ancora lontano, la vendetta di Lagertha si consuma a Kattegat nel peggior modo possibile: che dopo più di 20 anni la nostra abbia deciso di muovere guerra a Aslaug era già una forzatura, ma il modo in cui decide di chiudere i giochi sembra davvero fuori dal suo personaggio, al punto da rendere effettivamente la figura di Aslaug vincente tanto nei fatti quanto nelle parole: per la nostra guerriera preferita avremmo voluto qualcosa di meglio, peccato.
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