Intrighi di corte, passioni e vendette sono sempre stati parte integrante del plot di Vikings sin dalla prima stagione, ma il moltiplicarsi dei differenti fronti seguiti dalla serie e la scelta di raddoppiare il numero degli episodi scelti hanno inevitabilmente favorito la tendenza alla dispersione perdendo spesso di vista ciò che rendeva davvero bella la serie di Michael Hirst: la scoperta dello spirito del popolo vichingo in tutte le sue tradizioni e contraddizioni, ritrovata finalmente dopo tanto tempo in questo episodio dal titolo "in the uncertain hour before the morning".
Ad aiutarci in tal senso arriva la parentesi, bellissima, che vede Ragnar consegnarsi a un ormai anziano Re Ecbert insieme al figlio Ivar e finire dietro le sbarre di una prigione che ormai lo attendeva da troppo tempo: da sempre simili per carattere, curiosità e ambizioni, i due uomini dialogano e si confrontano come se gli anni non fossero passati, consapevoli di come gli interessi dei rispettivi popoli li abbiano divisi ma allo stesso tempo di quanto le loro anime siano effettivamente affini. Come se il tempo non fosse mai passato, Ragnar e Ecbert iniziano uno splendido confronto che li porta a interrogarsi sull'esistenza del divino e sulla possibilità che entrambi abbiano seguito falsi ideali, confortati solo dal ricordo di quell'Athelstan per il cui amore i due non avevano mai smesso di contendere e che tanto importante era per l'equilibrio della serie, filtro necessario fra l'occhio ignorante e curioso del pubblico e ciò che ci si prospettava sul piccolo schermo; ha un senso che finalmente il cerchio si chiuda con la comparsa di Alfred, futuro Alfredo il grande e nella finzione figlio di Athelstan, destinato per ironia della sorte ad essere un acerrimo avversario del popolo di Ragnar.
Un altro ragazzino molto atteso fa finalmente il suo debutto, ma la risoluzione della sua storyline non è delle migliori: Magnus, presunto figlio di Ragnar, altro non è che il frutto delle menzogne raccontate da una madre ambiziosa e e desiderosa di conquistare il potere, uccisa dalle sue stesse cospirazioni e con ogni probabilità indiretta firmataria della condanna a morte di quell'unico figlio che aveva cercato di utilizzare nel miglior modo possibile per i suoi scopi.
Mentre Bjorn è ancora lontano, la vendetta di Lagertha si consuma a Kattegat nel peggior modo possibile: che dopo più di 20 anni la nostra abbia deciso di muovere guerra a Aslaug era già una forzatura, ma il modo in cui decide di chiudere i giochi sembra davvero fuori dal suo personaggio, al punto da rendere effettivamente la figura di Aslaug vincente tanto nei fatti quanto nelle parole: per la nostra guerriera preferita avremmo voluto qualcosa di meglio, peccato.
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