martedì 6 dicembre 2016

Marguerite et Julien


"Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense."
(Inferno, Canto Quinto)

Storie di un amore efferato che si sporca le mani di una passione incontenibile, storie di un amore che fugge nel buio della notte osteggiato dalla famiglia e dal fato, contro perfidi rivali e un mondo in tumulto incapace di capire e di perdonare, storie di un amore votato alla morte sin dalla sua nascita che pretende tutto e non risparmia niente mischiando la realtà alla leggenda, la fiaba al mito, passato e presente: se ogni generazione ha i suoi Romeo e Giulietta e Paolo e Francesca, la regista francese Valerie Donzelli (La Guerra è dichiarata) aggiunge alla rosa degli amanti impossibili tanto favoriti da cinema e letteratura anche Marguerite e Julien, andati incontro alla peggiore delle morti nel lontano 1603 e tristemente dimenticati da poeti e menestrelli.

Che questa coppia di giovani sfortunati non ci rammenti nulla è più che normale: figli del Signore di Tourlaville, Marguerite e Julien De Ravalet erano fratello e sorella, uniti da un amore incestuoso che agli occhi dei loro contemporanei era la macchia di un peccato senza' assoluzione che li condusse dritti alla decapitazione e una quieta sepoltura che non osa pronunciarsi sulla loro vergogna; nel tentativo di restituire al racconto lo smalto della Leggenda, la Donzelli sceglie di sradicare la vicenda dalla sua naturale collocazione storica per spostarla in un tempo senza tempo, centrifugato di etichette e modus operandi seicenteschi con mode e tecnologie della nostra contemporaneità; così, attraverso la voce di un gruppo di ragazzine che inganna la paura per i bombardamenti di quella che sembrerebbe essere la Seconda Guerra Mondiale(?), la narrazione prende vita presentandoci i due protagonisti sin da bambini uniti da un affezione platonica e pur già ritenuta eccessiva, destinata a trasformarsi in passione sotto gli occhi sgomenti di familiari e servitù.

Il giocattolo postmoderno adoperato tante volte e in modo funzionale da produzioni americane a più zeri mette a dura prova le sorti dell'operazione, alla ricerca di una nota rock che finisce impicciata in un caos di macchine e elicotteri che mal s'adatta alle altre due anime del racconto: l'involucro fiabesco che elegge Marguerite e Julien a principe e principessa del castello e di un mondo non più medievale ma egualmente romantico e cortese, pronto a vivere con la dolcezza di una favola nelle parole entusiaste delle giovani cantastorie, ma anche il fuoco carnale di due corpi che non possono fare a meno di fondersi e diventare un tutt'uno, sotto gli occhi di un'estetica grezza che ricorda parecchio il dimenticato Wuthering Heights di Andrea Arnold, mescolandosi alla terra, al fango e al sangue in un matrimonio che dovrebbe essere innaturale e che invece la natura stessa appare voler benedire.

In mezzo alla contaminatio che il film persegue con determinazione e che distrae e confonde a più riprese a contare davvero sono però Marguerite e Julien, bellissimi e innamorati nelle interpretazioni di Anaïs Demoustier e Jérémie Elkaïm al punto da farci dimenticare in continuazione quale fosse la vera ragione della loro disgrazia: un tragico poema che non sarebbe stato meno senza tempo se lasciato nell'Epoca che l'aveva motivato e generato, ma vivo e sincero a sufficienza per farci sentire dovunque il battito forte del suo cuore.

Note:
La sceneggiatura originale del film riscoperta dalla Donzelli fu scritta per François Truffaut: rimane il rimpianto di non sapere cosa avrebbe potuto fare il regista di Jules e Jim e Le Due Inglesi con un tale soggetto, palesemente nelle sue corde. 



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