Tanti scenari slegati fra loro, tante pedine schierate che si muovono senza mai allontanarsi troppo dalle rispettive postazioni, tanta carne al fuoco che al momento non riesce ad approdare da nessuna parte e non fa che aumentare il senso di dispersione: vorremmo essere più indulgenti con la quarta stagione di vikings, vicinissima allo iato che la porterà in pausa per alcuni mesi in attesa di consegnarci i dieci episodi decisivi per far maturare il cuore di quest'annata, ma nonostante la consapevolezza che quella che stiamo attraversando sia soltanto una fase preparatoria in attesa di ciò che verrà, rimane un forte rammarico nel testimoniare che la scelta di raddoppiare l'arco narrativo stia nuocendo alla freschezza degli eventi quanto allo sviluppo dei personaggi.
A soffrire particolarmente sono il fronte di Kattegat e quello del Wessex, sempre più remoti e lontani e sempre più chiusi nel proprio microcosmo fatto di lotte di potere (Wessex) e trascuratezza (Kattegat): la nuova condizione di Re Ecbert, proclamato re di Wessex e Mercia e per questo superiore per potere e prestigio all'insoddisfatto e invidioso Aelle sembra aprire nuovi scenari di lotte intestine, ma la situazione progredisce così lentamente che pur essendo un piacere veder recitare Linus Roache iniziamo a temere che il momento in cui le vicende britanniche torneranno ad essere davvero coinvolgenti sia ancora lontano; con l'arrivo del piccolo Alfred a Roma, la possibile apertura di un fronte ulteriore con Papa Leone potrebbe complicare ulteriormente la situazione.
A Kattegat, la solitudine di Aslaug è ormai esplosa in una condotta infantile, egoistica e del tutto fuori controllo: abbandonata da Harbard, assorbita dal rapporto ossessivo con un Ivar che sta prendendo solo il meglio dalla madre, la regina perde la cognizione del tempo e anche di chi le sta intorno, trascura il piccolo Sigurd completamente abbandonato a sè stesso assiste impotente al crollo della madre, lascia che la piccola Siggy, ultimo legame che vikings aveva mantenuto con i personaggi della stagione precedente sparisca nel peggiore dei modi possibili: per il momento, abbiamo visto più che abbastanza.
Nei pressi di Parigi, Ragnar e i suoi indugiano e aspettano il momento opportuno per attaccare nuovamente la città: il re è un uomo distrutto, divorato dall'astinenza e dimentico dei propri doveri, guidato ormai solo da un senso di vendetta verso il fratello da saziarsi in una sfida che quello che un tempo avevamo definito l'Ulisse vichingo non è per nulla in grado di vincere: i fratelli Finehair si aggirano con aria minacciosa senza aver ancora messo in chiaro le loro intenzioni, Bjorn riesce a sbarazzarsi del suo antico nemico grazie alla fedeltà di Torvi (sarà davvero amore o era tutto calcolato sin dall'inizio?) , mentre la nostra amatissima Lagertha paga ancora una volta il prezzo di essere donna ed è costretta a rimboccarsi le maniche per risorgere nuovamente e ricominciare, personaggio splendido e amatissimo anche con pochi minuti di Screentime.
A Parigi, l'intrigo di corte continua a essere l'unico motivo percorribile, ma ora che lo scontro con Ragnar si avvicina le cose potrebbero finalmente cambiare: c'è bisogno di progredire, e in fretta.
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