"You know how everyone's always saying seize the moment? I don't know, I'm kind of thinking it's the other way around, you know, like the moment seizes us."
Vivere può essere un'avventura straordinaria: Hook-Capitan Uncino si chiudeva con questa battuta, in sintonia con la delicata attitudine che Steven Spielberg ha sempre dimostrato verso il racconto dell'infanzia, dicendo addio all'Isola che non c'è e invitando genitori e figli a non guardare con malinconia all'inevitabile momento della crescita; mentre l'incanto dei mondi fantastici che con tanto fervore abbiamo abitato finisce per diradarsi e lasciare spazio alla vita vera e alle sue costanti, un'altra magia misteriosa e inafferrabile prosegue la sua opera camminando lungo la linea del tempo, fra abbaglianti istanti di felicità e buchi neri di dolore, per comporre il puzzle della nostra intera esistenza.
Dopo anni e anni di revisioni, il ricordo di quella frase si è fatto piuttosto insistente durante la mia visione di Boyhood, il film di Richard Linklater che batte sul suo stesso terreno il già ardito esperimento della splendida Before Trilogy: a rendere cinematograficamente interessante la storia di Mason, figlio di una famiglia disfunzionale e complicata come tante altre nel mare della sterminata nazione americana, sono i 12 anni di riprese che hanno accompagnato la vita del giovane attore protagonista dai primi anni della fanciullezza fino al suo diciottesimo compleanno, piccoli quadri cuciti insieme anno dopo anno per uno studio quasi chirurgico delle trasformazioni fisiche ed emotive alle quali il ticchettio dell'orologio ci ha destinati senza appello.
Dopo anni e anni di revisioni, il ricordo di quella frase si è fatto piuttosto insistente durante la mia visione di Boyhood, il film di Richard Linklater che batte sul suo stesso terreno il già ardito esperimento della splendida Before Trilogy: a rendere cinematograficamente interessante la storia di Mason, figlio di una famiglia disfunzionale e complicata come tante altre nel mare della sterminata nazione americana, sono i 12 anni di riprese che hanno accompagnato la vita del giovane attore protagonista dai primi anni della fanciullezza fino al suo diciottesimo compleanno, piccoli quadri cuciti insieme anno dopo anno per uno studio quasi chirurgico delle trasformazioni fisiche ed emotive alle quali il ticchettio dell'orologio ci ha destinati senza appello.