Ogni volta è come se fosse la prima: assisti alla rigenerazione del Dottore, non sai in che modo il personaggio cambierà e che contributo il nuovo attore scelto per interpretarlo sarà in grado di dare alla serie, ti imbarchi in un'altra avventura pronto a tuffarti in un mare di incognite e a lasciarti sorprendere; anche in occasione dell'arrivo dell'ottava serie di Doctor Who i dubbi sono stati i medesimi, ma giunti all'episodio finale possiamo dire con tranquillità che Peter Capaldi è riuscito egregiamente a entrare nei panni del Dottore e che questo ciclo di episodi ha saputo non solo trovare la sua strada ma anche correggere alcune sbavature che avevano iniziato ad appesantire la firma dello showrunner Steven Moffat.
Proseguendo nell'apertura del vaso di Pandora già iniziata con Dark Water, Death in Heaven insiste nello sviluppo di uno degli spunti più macabri che la serie abbia mai adottato: grazie all'opera della "Mistress" Missy, i morti risorgono dalle loro tombe nella forma di Cybermen pronti a compattarsi in un immenso e minaccioso esercito.
In aiuto del Dottore arrivano anche due vecchie conoscenze della Unit, la giovane collaboratrice e super fan Osgood e Kate Lethbridge-Stewart, figlia del leggendario brigadiere: la loro presenza rappresenta un continuum con lo speciale del cinquantenario, ma anche un modo per omaggiare una delle icone più memorabili della serie classica.
Quanto sta accadendo in tutti i cimiteri del globo non esclude nemmeno il povero Danny Pink, passato a miglior vita improvvisamente proprio nel precedente episodio: per Clara, prima decisa a riabbracciare il fidanzato e poi a dargli la pace che nemmeno in vita aveva mai davvero conosciuto, arriva ben presto il momento di una tragica, impossibile scelta che la ragazza decide però di affrontare egualmente con coraggio proprio in nome dell'amore per il suo Danny; il confronto col Dottore, ancora una volta costretto a scegliere la via più dura in nome di un bene superiore, non faciliterà la pacificazione dell'insolito trio e porterà ancora più straniamento e dolore.
Quando la solitudine e l'egoismo del Maestro si palesano nelle vere intenzioni di Missy, il Dottore capisce davvero il significato del suo recente percorso: essere un brav'uomo non vuol dire essere un eroe, un presidente o un soldato, ma guardare dentro sé stessi e fare il possibile per proteggere le persone che si amano perché l'amore è più forte di tutto.
Si conclude così, con un addio pieno di speranza e affetto ma allo stesso tempo viziato da un costante bisogno di mentire per proteggere la felicità dell'altro, una stagione caratterizzata da molti episodi stand alone e da una linearità che non si vedeva dai tempi del tanto osannato Russell T. Davies: più semplicità e immediatezza d'intreccio, ma con personaggi ben caratterizzati che non si limitano ad essere semplice pedine in una sceneggiatura sensazionalistica e aggrovigliata. Con questo spirito, l'attesa per lo Speciale di Natale e per quello che con ogni probabilità sarà il vero addio di Clara alla serie, non può che essere alle stelle.
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