Per recuperare una situazione d'emergenza straordinaria occorreva allora l'aiuto di una personalità straordinaria, capace di sposare la propria fragilità e umanità ai canoni del period drama per darci l'opportunità di sognare ad occhi aperti la domenica sera fra balli di corte, intrighi e crinoline: ecco allora arrivare a prendere possesso del suo trono Victoria, la regina che nell'arco di uno dei regni più longevi vantati dalla monarchia britannica (il suo record è stato recentemente battuto dall'attuale Elisabetta II) ha battezzato un'intera Epoca e accompagnato a piccoli passi la transizione del Regno Unito verso la Modernità.
Un periodo ricco di ambivalenze e contraddizioni, che all'autrice del Serial Daisy Goodwyn interessano però relativamente e solo in funzione dei cambiamenti esercitati sulle personalità dei suoi personaggi e più che mai sulla Regina stessa: al centro del racconto regna incontrata la giovanissima Victoria di Hannover, appena diciottenne quando lo Zio William IV muore lasciandole la corona dopo un Regno poco idilliaco e rapidamente archiviato.
Per Victoria, la promessa della corona è quella di un'emancipazione bramata per anni e negatale dall'opprimente presenza della Madre e del suo segretario Sir John Conroy, impegnati a tenerla ben nascosta entro i cancelli di Kensington Palace di assicurarsi una salda posizione di potere una volta che la ragazza fosse salita al trono.
Temprata da anni di solitudine vissuti col solo conforto del suo fedele cagnolino Dash, Victoria disattende le aspettative dei suoi carcerieri e prende il mano il proprio destino, commettendo errori da perdonare con difficoltà anche tenendo conto della sua giovane età ma imparando nel contempo a crescere e maturare, trovando conforto nell'amicizia con il primo Ministro Liberale Lord Melbourne ma soprattutto nell'unione con l'amato Principe Albert, fortemente voluta dalla famiglia eppure straordinariamente felice; dietro le quinte, la servitù di palazzo si districa fra screzi quotidiani, problemi di gerarchia e segreti che mai dovranno essere rivelati, attendendo al meglio delle proprie possibilità la sua Regina.
Superata la delusione per non aver trovato un maggiore approfondimento della situazione politica e sociale dell'Epoca è davvero difficile non innamorarsi di questa serie e del suo fresco romanticismo: la Victoria di Jenna Coleman (per l'occasione armata di inquietanti lenti a contatto azzurre degne di un White Walker di Game of Thrones) è un'adolescente che non ha mai visto ne conosciuto nulla, ancora prigioniera di un'infanzia infelice trascorsa ad agognare una libertà ironicamente incarnata da un Ruolo istituzionale che mai più le avrebbe restituito il controllo e la padronanza di sè stessa, del suo corpo e dei suoi affetti; dietro l'ombra di un passato difficile da scalfire si nasconde però una ragazza vivace, ansiosa di assaporare l'amore e la vita, allegra e desiderosa di apprendere e migliorarsi e decisa a non lasciarsi manipolare da un mondo di uomini.
Il legame col Principe Albert, dolce e affascinante nella prova di Tom Hughes, è reso splendidamente sul piano personale quanto su quello istituzionale: una storia d'amore autentica che chiede alla regina di fidarsi di qualcuno a tal punto da donargli il suo cuore, abbracciando il confronto e lo scontro con l'unico uomo disposto a dirle la verità e a non temere di mostrarle il mondo per ciò che è: alcune scelte di Victoria, dal matrimonio alla gravidanza fino al momento in cui arriva a condividere alcune funzioni col marito potrebbero sembrare poco lungimiranti, ma in nome di un amore che chiede inevitabilmente anche compromesso e comprensione ciò che appare come una sconfitta si rivela piuttosto il frutto di un processo di maturazione, come regina e come donna, che non risulta mai forzato o fuori contesto.A impedire alla serie di raggiungere un punteggio pieno sono piuttosto alcune stonature: troppo sbilanciata ed eccessiva la cotta per il Lord Melbourne di Rufus Sewell, al punto tale da portare molti a disdegnare l'arrivo di Albert come possibile partito; slegate dalle vicende reali e poco curate le trame della servitù, ben lontane dall'equilibrio upstairs/downstairs che aveva guidato Downton Abbey.
Con la giusta leggerezza ma con altrettanti spunti interessanti (la preoccupazione di Victoria e di tutto il Regno per una sua possibile morte di parto è più che ragionevole e palpabile) e scene già scolpite nella memoria (dal primo Valzer al lancio della Ferrovia, fino al primo Attentato alla vita della Regina)Victoria gioca bene le sue carte e allieta il suo pubblico di una serenità nuova e gradevolissima: a volte è tutto ciò che serve.
Note-
Nella Guerra fra monarchie che inevitabilmente porta differenti sovrane a scontrarsi, i produttori della serie Netflix The Crown hanno pensato bene di sottolineare quanto il loro prodotto fosse qualitativamente superiore disprezzando senza troppi giri di parole la serie di ITV: al di là del fatto che giocare con un budget cinematografico e una sceneggiatura di Peter Morgan significa vincere facile, paragonare due prodotti diametralmente opposti per capitali, interessi e soprattutto obiettivi è quanto di più sbagliato si possa fare; che The Crown sia splendido è innegabile, ma il cuore resta a Victoria.
Il legame col Principe Albert, dolce e affascinante nella prova di Tom Hughes, è reso splendidamente sul piano personale quanto su quello istituzionale: una storia d'amore autentica che chiede alla regina di fidarsi di qualcuno a tal punto da donargli il suo cuore, abbracciando il confronto e lo scontro con l'unico uomo disposto a dirle la verità e a non temere di mostrarle il mondo per ciò che è: alcune scelte di Victoria, dal matrimonio alla gravidanza fino al momento in cui arriva a condividere alcune funzioni col marito potrebbero sembrare poco lungimiranti, ma in nome di un amore che chiede inevitabilmente anche compromesso e comprensione ciò che appare come una sconfitta si rivela piuttosto il frutto di un processo di maturazione, come regina e come donna, che non risulta mai forzato o fuori contesto.A impedire alla serie di raggiungere un punteggio pieno sono piuttosto alcune stonature: troppo sbilanciata ed eccessiva la cotta per il Lord Melbourne di Rufus Sewell, al punto tale da portare molti a disdegnare l'arrivo di Albert come possibile partito; slegate dalle vicende reali e poco curate le trame della servitù, ben lontane dall'equilibrio upstairs/downstairs che aveva guidato Downton Abbey.
Con la giusta leggerezza ma con altrettanti spunti interessanti (la preoccupazione di Victoria e di tutto il Regno per una sua possibile morte di parto è più che ragionevole e palpabile) e scene già scolpite nella memoria (dal primo Valzer al lancio della Ferrovia, fino al primo Attentato alla vita della Regina)Victoria gioca bene le sue carte e allieta il suo pubblico di una serenità nuova e gradevolissima: a volte è tutto ciò che serve.
Note-
Nella Guerra fra monarchie che inevitabilmente porta differenti sovrane a scontrarsi, i produttori della serie Netflix The Crown hanno pensato bene di sottolineare quanto il loro prodotto fosse qualitativamente superiore disprezzando senza troppi giri di parole la serie di ITV: al di là del fatto che giocare con un budget cinematografico e una sceneggiatura di Peter Morgan significa vincere facile, paragonare due prodotti diametralmente opposti per capitali, interessi e soprattutto obiettivi è quanto di più sbagliato si possa fare; che The Crown sia splendido è innegabile, ma il cuore resta a Victoria.
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