"Growing up is not a problem. Forgetting is."
"Gli adulti non capiscono mai niente da soli ed è una noia che i bambini siano sempre eternamente costretti a spiegar loro le cose": un bel problema dover diventare grandi, piombare in un mondo fitto di responsabilità dove vorresti essere finalmente libero di trovare il tuo posto nel mondo e invece tutti si aspettano da te la realizzazione di quel progetto insaziabile in cui nulla sembra essere mai abbastanza, il grande piano di battaglia a cui è opportuno iniziare a lavorare alacremente sin da ragazzini in nome di un futuro che verrà, volenti o nolenti, per inserirci nella grande macchina della vita e del lavoro e chiamarci adulti una volta per tutte.
La vera tragedia non è però tanto crescere, assecondare il tic tac che trasforma i giorni in anni e gli anni in decenni facendoci abbandonare lentamente le matite colorate e i giocattoli per le cravatte, i tailleur e i daily planner, quanto finire per dimenticare la leggerezza dell'animo fanciullesco che era in noi e che sapeva portarci dovunque, senza bisogno di spiegazioni, in una nuvola di fantasia animata dalla speranza e dalla voglia di fare e di scoprire; la vera tragedia è annichilire nella catena di montaggio e ingrigire piano piano, senza più memoria delle piccole semplici cose meravigliose che ci davano la forza di lottare e di vivere, lasciandosi risucchiare dal sistema senza avere più nulla da donare a noi stessi e agli altri.
Un messaggio che Il Piccolo Principe di Mark Osborne non si cura di sottintendere neanche un po', scegliendo un canovaccio essenziale e collaudato per assicurarsi che gli adulti, seduti accanto ai loro figli e convinti di aver dato loro un film a misura di bambino, abbiano sentito forte e chiaro e si siano fermati ad osservare senza fretta le stelle del cielo almeno qualche minuto dopo la visione.