Juan (David Oakes), accompagnato da un Conquistador, viene ricevuto a Roma con tutti gli onori, pronto a recare curiosi e interessanti doni dal Nuovo Mondo: dei sigari per il Papa(Jeremy Irons), che il Santo Padre inizierà a fumare con una certa diffidenza, ma soprattutto una pantera per Lucrezia(Holliday Grainger), animale selvatico che quasi come monito del cattivo sangue fra fratello e sorella non esita a mordere la mano della ragazza; il giovane Borgia si dichiara felice e innamorato della sua nuova sposa ma i primi sintomi della sifilide, conseguenza di una vita di dissolutezza, iniziano a manifestarsi.
Deciso a dimostrare il suo valore, Juan raccoglie il compito tanto agognato dal fratello Cesare(François Arnaud): porre l’assedio al castello di Caterina Sforza (Gina McKee) a Forlì, per costringerla a sottomettersi all’autorità papale una volta per tutte.
Nonostante il dispiegamento di forze, Juan non riuscirà però nell’ardua impresa: pronta a sacrificare anche il figlio adolescente Benito, rapito da Juan con disonore durante un incontro sotto bandiera bianca, Caterina resiste con coraggio gridando di avere la forza di partorire molti altri figli, destinati a opporsi al Papa strenuamente e a mai piegarsi al suo volere, nell’attesa dell’arrivo dei rinforzi guidati dal cugino Ludovico(Ivan Kaye), Duca di Milano, che spazzano via le truppe Borgiane senza esitazione costringendo Juan alla fuga.
Il “merito” della sconfitta è anche di Cesare, che pur essendo venuto a conoscenza del piano d’attacco di Ludovico decide di non interferire negli affari del fratello, pronto senza dubbio ad approfittare della sua disfatta.
Le cosa non vanno meglio a Lucrezia, che costretta dal padre a scegliere un marito si infatua invece di Raffaello, fratello minore del suo pretendente Calvino(David Alpay), pur consapevole che un secondogenito non potrà mai essere un candidato ideale.
A Firenze per seguire da vicino le mosse di Girolamo Savorarola (Steven Berkoff), Cesare sembra trovare un valido alleato in Niccolò Machiavelli(Julian Bleach), abile politico indubbiamente colpito dalla personalità del cardinale Borgia: insieme assistono al devastante falò delle vanità, nel quale i seguaci di Savonarola gettano oggetti di ogni sorta prelevati porta a porta dalle case fiorentine, per depurare la città dal peccato delle apparenze.
Mentre il fumo offusca il cielo di Firenze, il Cardinale Giuliano della Rovere (Colm Feore) continua ad addestrare il giovane monaco designato per uccidere Alessandro VI: sempre più abituato alla terribile cantarella, la sostanza designata per compiere la sacra missione, l’assassino sembra ormai pronto a fare la sua mossa.
Firenze centro del mondo: nonostante l’immane dispiego di forze per l’assedio al Castello di Forlì, le vicende che interessano la culla del rinascimento sono decisamente la cosa migliore del settimo episodio della seconda stagione di The Borgias; in preda a una mistica possessione, la città affida i suoi fanciulli a Savonarola per trasformarli in pericolosi seguaci della fede e consegna alle fiamme il suo ricco passato, un tempo simbolo di arte e cultura e adesso ridotto a semplice manifestazione di vanità. Testimone dell’orrore, Niccolò Machiavelli continua a distinguersi come uno dei personaggi più affascinanti della serie, maestro d’ingegno e intelletto che non esita a sfoderare le sue armi (“I have only my intellect which I am reluctant to relinquish and as you can see with these looks, I have no vanity.”) e guarda con amarezza lo stesso Sandro Botticelli portare personalmente i suoi quadri al falò delle vanità.
è stato comunque un piacere vedere ritornare in scena il Juan di David Oakes fresco fresco di onore e raccomandazioni paterne, ma destinato a fallire su tutta la linea con impegno tale da poter competere con William Hamleigh, altro modello di signorotto antipatico e incompetente interpretato ottimamente da Oakes ne “I Pilastri della Terra”: Cesare avrebbe potuto aiutarlo a evitare l’irreparabile, ma la scelta di lasciare il fratello al suo destino è quanto mai azzeccata e fa ben sperare che alla resa dei conti fra i due manchi davvero poco.
La vittoria è quindi tutta di Caterina Sforza, interpretata da un’appassionata Gina McKee, disposta anche a pagare il più alto dei prezzi pur di difendere la sua libertà (“God will be my judge, but I will never, NEVER bend my knee to the whoremaster of Rome! This is my answer, you can take my son. But do you see here? I have the means to produce ten more sons, and my men will hunt you down and send you to hell!”).
La disfatta di Juan non è però l’unico problema che Alessandro VI deve affrontare: Lucrezia, pur arrendendosi formalmente alla volontà paterna di vederla sposata per il bene della famiglia e non solo per sé stessa(“Sell me to the highest bidder”, sentenzia rassegnata alla fine dell’ennesima discussione), continua infatti la sua guerra personale contro il Papa flirtando senza speranza con Raffaello Pallavicini( che si rivela essere, con una certa banalità, un giovane artista); il nome di Alfonso D’Aragona è finalmente saltato fuori, ma a tre episodi dalla conclusione non è ancora chiaro se sia finalmente pronto ad entrare in partita.
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