sabato 3 ottobre 2009

brideshead revisited

“Se mi chiedeste oggi chi sono…l’unica risposta che potrei dare di una qualche certezza sarebbe il mio nome: Charles Ryder.”

Reduce dall’esperienza di Becoming Jane, dove ci proponeva una fresca biografia della sempre amata scrittrice Jane Austen, Julian Jarrold conferma il suo sincero interesse per il passato nelle sue innumerevoli contraddizioni e caratterizzazioni ,con questa pellicola tratta dal romanzo di Evelyn Waugh: nell’Inghilterra del primo dopoguerra seguiamo per più di un decennio le avventure del giovane Charles Ryder (un ottimo Mattew Goode), ambizioso pittore alla ricerca di un posto nel mondo: figlio di un padre assente e disinteressato, Charles trova la sua grande opportunità ad Oxford nell’amicizia con l’aristocratico e trasgressivo Sebastian Flyte (un fragile Ben Whishaw), rampollo di una importante famiglia di antica nobiltà, simbolo di una speranza di rivalsa che il giovane non può fare altro che rincorrere a qualunque prezzo (assolutamente non casuale a mio parere la scelta del cognome Ryder in riferimento al sostantivo inglese rider-correre, cavalcare ndr-).


L’ambigua amicizia con Sebastian , che prova un sentimento ben più profondo nei suoi confronti, lo condurrà nell’antica dimora di Brideshead dove ogni cosa, dagli affreschi alle livide sculture comunica arte, ricchezza e magnificenza; ma è proprio nella freddezza della cappella che emerge il cuore dell’antica magione: quello freddo e glaciale dell’ impeccabile lady Marchmain, una Emma Thompson bravissima e perfetta nel ruolo della matriarca cattolica desiderosa di preservare l’integrità della famiglia ad ogni costo, proteggendola dagli ospiti indesiderati e da desideri proibiti: con la ferma tenacia di un inquisitore lei spinge Sebastian nel dolore di un’ omosessualità negata e distrugge non solo i sogni ma anche l’animo della bella figlia Julia, che alla fine si arrende all’unica realtà che la madre abbia mai tollerato, lasciando il protagonista a proseguire da solo la sua corsa. In quell’universo di convenzioni rigide, cerimonie e peccati imperdonabili, solo la guerra con il suo violento incedere oserà varcare i sacri cancelli di Brideshead e nemmeno allora ci viene data la certezza che per la famiglia Flyte, fuggita lontano, le cose siano cambiate. Al giovane Charles alla fine non resta altro che ciò con cui tutto era iniziato; il suo nome, carico di aspirazioni e speranza, l’unica certezza di essere ancora alla ricerca di quel mondo che forse non riuscirà mai a raggiungere.

A noi spettatori invece resta una pellicola monumentale, impegnativa e rigorosamente accademica in cui Jarrold sceglie di non mettere da parte neppure un granello di maestosità visiva: i costumi sono perfetti in ogni dettaglio,la fotografia è impeccabile sia nel magico verde della campagna inglese che nelle alte volte della magione. Non che la perfezione formale sia un difetto: se pur il film ha contro di sè una lunghezza spaventosa, forse questa non poteva evitarsi senza sacrificare la ricercatezza e la raffinatezza di quella che sembrerebbe essere quasi un’opera di un nuovo James Ivory; un gioiello dunque, non destinato a chi cerca emozioni di bassa lega ma a chi è disposto ad assaporare con pazienza un dolce dal gusto delicato, se pur con un tocco d’amaro messo al punto giusto; ci costringe infatti a riflettere su interrogativi di estrema attualità e stereotipi della nostra società che non solo sono sopravvissuti alla guerra ma forse sono destinati a non morire mai e a rinascere più forti, in una società come la nostra che tanto discute di tolleranza e che mai abbastanza si impegna per ottenerla. Il melanconico pianoforte di Adrian Jonhston ci accompagna dunque in un incantevole viaggio attraverso un tempo passato, lontano, ma spaventosamente vicino a noi più che mai.


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