"Gatsby believed in the green light, the orgastic future that year by year recedes before us. It eluded us then, but that's no matter - tomorrow we will run faster, stretch out our arms farther... And one fine morning - So we beat on, boats against the current, borne back ceaselessly into the past."
La firma di Baz Lurhmann si iscrive nel panorama cinematografico con tratti caratteristici e inequivocabili, ma per quanto possiamo pensare di aver appreso le regole del gioco e di essere pronti a goderci lo spettacolo, ogni nuovo appuntamento in sala finisce per smentirci clamorosamente: parliamo dell'uomo che ha dato a Romeo Montecchi una camicia hawaiana e portato le musiche dei Nirvana sul palcoscenico del Moulin Rouge, eppure nonostante non possa dirsi particolarmente prolifico(5 film in 20 anni di carriera) la vertigine che accompagna i suoi lavori lascia puntualmente il suo pubblico spiazzato fra sconcerto e meraviglia, costretto a scegliere se lasciarsi travolgere dalla giostra di una messa in scena barocca e sovraccarica o pretendere di scendere immediatamente; chi sarà ben disposto a partecipare alle sue costose parate potrà però godere della compagnia di un regista tanto anticonvenzionale quanto profondamente classico, deciso a sfruttare la contaminatio di generi, musiche e ambientazioni per riportare in vita con gusto contemporaneo un cinema melodrammatico e colossale, bagliore di una Hollywood che non esiste più se non nei ricordi di vecchi cinema dalla poltrone di velluto minacciati dall'avanzare dei multisala.
"He gives large parties, and I like large parties - they're so intimate. Small parties, there isn't any privacy."
Nella sua costante predilezione per love affairs tragici e impossibili che iniziano a sbocciare veramente solo se messi alle strette da un pubblico che sappia essere giudice e testimone( Romeo e Giulietta che si scoprono innamorati nel caos della festa dei Capuleti, Satin e Christian che si giurano amore eterno sul palco del Moulin Rouge e persino Sarah e Drover, che danno scandalo mostrandosi insieme a un party in Australia), era solo questione di tempo prima che Luhrmann scegliesse di rivolgere le sue attenzioni al Grande Gatsby di F.Scott Fitzgerald, fiore all'occhiello della letteratura americana che trova nell'ostinata convinzione di dover rendere "rispettabile" la purezza di un amore solo dopo aver ottenuto una palese benedizione sociale una delle sue immagini più ricorrenti.
Gatsby? What Gatsby? Quello di Baz Luhrmann of course: dopo mesi e mesi di attesa finalmente Il Grande Gatsby è arrivato oggi a Cannes, prima di fare il suo debutto ufficiale nelle sale a partire da domani. Come prevedibile il film ha spaccato senza appello e molte recensioni dalla Croisette sono state piuttosto impietose, ma dato che parlando di Luhrmann non ci sono mai mezze misure e una trasposizione non dovrebbe mai farsi intimorire dalla paura di ferire un testo sacro( lo stesso Gatsby con Robert Redford, con tutto il rispetto per Coppola, non era comunque riuscito al 100%), io non voglio arrendermi, credo che il film meriti fiducia e ci crederò fino alla fine. Ovviamente, potrò dire di più solo dopo la visione.
Intanto, giusto perchè non si deve far mancare niente, Londra ci ha messo lo zampino con le splendide vetrine di Harrods a tema Roaring Twenties. London, you're not helping, you see.
Disclaimer: questa piccola panoramica sui nuovi personaggi nella terza stagione di Game of Thrones è stata scritta per Ed è Subito Serial Magazine, piccolo grande mensile sulla serialità col quale ho avuto l'opportunità e il piacere di collaborare per il numero di maggio; per ovvie ragioni di tempistica è aggiornato solo ai primi episodi, non tiene conto degli eventi verificatisi nelle ultimissime puntate e non essendo la sottoscritta una lettrice dei libri contiene speculazioni su possibili nuovi sviluppi non certificate da Mr Martin: puristi dell'opera, siate indulgenti.
Game of Thrones: nuovi e vecchi giocatori sulla scacchiera dei sette Regni
Dopo trailer gustosissimi e hype incontenibile l’attesa è finalmente finita: sotto la guida dei sempre fedeli David Benioff e D.B. Weiss Game of Thrones è finalmente tornato sugli schermi statunitensi, per tradurre in immagini l’epopea delle cronache del Ghiaccio e del Fuoco di G.R.R. Martin e proseguire la lotta per la conquista del trono di spade da dove l’avevamo lasciata. Possiamo dire che le nostre aspettative sono state soddisfatte? Dopo pochi episodi è chiaramente troppo presto per emettere alcun tipo di verdetto ma è innegabile che la forte frammentarietà della narrazione, croce e delizia della serie funzionale soprattutto a rendere autentico il mosaico di climi, popoli e culture di un continente vasto come Westeros, unita al ridotto screen time a disposizione di ciascuno mette spesso a rischio la giusta tensione drammatica degli episodi, costretti a conclusioni anticlimatiche e a un’evoluzione dei protagonisti lenta e dilatata; la scommessa però continua ad essere accettata ben volentieri dagli spettatori che hanno premiato il debutto della serie facendole registrare un record di ascolti eccezionale, anche per un canale via Cavo, persino prestigioso come la HBO.
Tratta dalla prima metà di A Storm of Swords, terzo volume della
saga che per l’eccessiva mole verrà completato solo con la quarta stagione, la
terza serie di Game of Thrones riprende alla conclusione dell’epocale battaglia
di Blackwater, dopo la quale con i vari
clan già pronti a fare la loro mossa e a schierare nuovi giocatori in partita non
viene neppure dato il tempo alle vedove e agli orfani di piangere la scomparsa
dei loro cari; una delle pedine più splendenti e intriganti della scacchiera è
senza dubbio Margaery Tyrell, di
quella casa Tyrell che aveva fatto una breve ma essenziale apparizione nel
gioco dei troni già dalla seconda stagione e che ora si prepara a fare il balzo
definitivo sposando la propria principessa al giovane e sempre spietato re
Joffrey.
Quando la nave di Ragnar Lothbrok ha preso per la prima volta il largo alla ricerca di nuove terre da scoprire e depredare, non sapevamo dove il viaggio ci avrebbe portato né se l'impresa fosse davvero degna del nostro tempo e della nostra fiducia: alla conclusione del season finale, possiamo finalmente dire con certezza che Vikings è una delle novità più promettenti e interessanti che abbiamo avuto il piacere di incontrare in quest'annata televisiva.
Ci siamo innamorati di lei sul set de Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit, abbiamo imparato a chiamarla Terra di Mezzo e a dipingerla nella nostra testa come un luogo tanto puro e incontaminato da poter esistere solo nei sogni: la Nuova Zelanda se ne sta lì ai confini del mondo in tutta la sua bellezza a ispirare le nostre fantasie, ma quando la fiaba si fa da parte per lasciar spazio al silenzio a scoprirsi è il cuore selvaggio di una terra nuova, pericolosa e indomita, pronta a risvegliare passioni dimenticate e istinti primordiali.
Dopo aver raccontato con delicatezza e poesia la nascita di un amore nel sottovalutatissimo Bright Star, Jane Campion è tornata a casa a riabbracciare l'atmosfera umida e pur sanguigna che aveva fatto vibrare sulla tastiera le dita di Ada in Lezioni di Piano: realizzata in 7 episodi con la collaborazione del regista e sceneggiatore australiano Gerald Lee, Top of The Lake è stata la prima serie ad essere mai presentata nella sua interezza al Sundance Film Festival e ha registrato alla messa in onda su Sundance Channel un buon successo di pubblico e critica, ma addentrandosi nella visione l'impressione è che nonostante la qualità del prodotto le increspature sullo specchio d'acqua del lago di Lake Top siano tali da rendere il riflesso della serie inevitabilmente imperfetto.