domenica 25 marzo 2018

Irish Film Festa 11: Maze, Stephen Burke



Una griglia di fratture e microfratture, fratello contro fratello e Dio contro Dio, fino a un cessate il fuoco a lungo sospirato ma incapace di guarire fino in fondo le ferite che hanno scavato solchi nella sensibilità e nel malessere di un paese intero: questa la storia dell'Irlanda del Nord, l'Ulster che a scuola tendiamo a confondere con l'Eire con tanta leggerezza e che invece si porta dietro l'eredità conflittuale di una lotta nobile e antica, ma combattuta con le armi della paura e del terrorismo da una parte e con ferma repressione dall'altra; così si gioca il rimbalzo delle responsabilità, le bombe dell'IRA nei pub e nei locali pubblici con gli innocenti che pagano il prezzo più alto, la risposta britannica che si accanisce reprimendo con la violenza proteste pacifiche e spargendo sangue sulla strada, processi senza attenuanti e una risposta carceraria di durezza non comune, nel carcere di massima sicurezza più imponente e inespugnabile d'Europa che si presenta come un labirinto profondo di alienazione e annullamento.


Da qui riparte Maze di Stephen Burke, presentato nel corso dell'Irish Film Festa presso la Casa del Cinema di Roma dedicato all' evasione che coinvolse ben 38 terroristi dell'IRA, sfuggiti in modo rocambolesco dalla fortezza dell'HM Prison Maze (conosciuta anche come Long Kesh) nel settembre '83, per essere per lo più riacciuffati subito o uccisi qualche anno dopo; una grande fuga degna di Steve McQueen, preparata e studiata con altrettanta cura dalla mente Larry Marley, sopravvissuto al terrificante sciopero della fame che si portò via tanti detenuti determinati a veder riconoscere i propri diritti di prigionieri politici in nome dell'Irlanda per cui avevano combattuto, magra consolazione per tutte le famiglie che non li hanno mai più visti tornare a casa. 


L'idea di Marley non è priva di intuizione: fallito lo sciopero senza ottenere validi risultati, una fuga dal Labirinto risveglierà le coscienze e manterrà viva la causa indipendentista, ormai esasperata dalle tante morti che l'hanno insanguinata, in un'azione dimostrativa senza precedenti che sarà possibile solo lavorando a stretto contatto con le guardie carcerarie che provano per lui solo disprezzo e diffidenza. Sullo sfondo, le frange unioniste che all'interno della stessa ala del carcere disprezzano e contrastano la loro stessa esistenza, risse e avvertimenti che si riveleranno un ottimo catalizzatore: a dare un importante e inconsapevole contributo sarà Gordon Close, guardia carceraria altrettanto esasperato dalle maglie del labirinto e dall'asprezza delle gerarchie, oltre che da una vita personale che sotto la pressione della minaccia terroristica incombente inizierà a vacillare improvvisamentre. 

Il più grande rischio che si possa correre trattando un argomento tanto delicato è cadere nella trappola della faziosità e non concedere alle parti in causa pari opportunità di difesa e spiegazione, incarnando il buono e il cattivo in un unico e intoccabile paradigma: non è questo il caso del film di Burke, che pur  facendoci simpatizzare col destino dei carcerati e sospirare in ogni singola tesissima fase del Big Day mantiene egualmente il distacco necessario sfumando al meglio la problematica figura di Marley (eccellente l'imperturbabile Tom Vaughan Lawlor), convinto militante dell'Ira ma non al punto di sacrificare la sua unica possibilità di ritornare dalla sua famiglia: l'interesse per il destino di Gordon(ottimo Barry Ward, dall'altra parte della barricata anni dopo la sua interpretazione in Jimmy's Hall di Ken Loach) non è sincero, ma non è chiaro fino in fondo dove finisca la menzogna e inizi l'empatia che dall'altra parte risponde a una sincera e incompresa disposizione a cambiare le cose. Come trovare la pace se anche il minimo cedimento si traduce in una nuova escalation? Ci sarebbero voluti ancora molti anni e tante morti (lo stesso Marley venne ucciso dagli unionisti poco dopo essere uscito di prigione) per arrivare agli accordi del Venerdì Santo e alla deposizione delle armi, ma alla vigilia di una Brexit voluta dal governo centrale e che rischia di mettere in seria discussione il futuro irlandese le domande senza risposta che tormentano il paese sono ancora tante, forse troppe. 

A futura memoria di quegli anni così difficili in cui tutto e niente sembrava possibile ci resta un film asciutto, girato con inquadrature grezze nelle spente profondità dei rami della prigione come nella gola di un mostro soffocante che tutto e tutti divora: il fantasma di un mondo che era ieri ma che in fondo è ancora qui, troppo inquieto per trovare finalmente la sua pace. 

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