lunedì 1 maggio 2017

Thirteen Reasons Why


"I had all and then most of you
Some and now none of you
Take me back to the night we met
I don't know what I'm supposed to do
Haunted by the ghost of you
Oh, take me back to the night we met"
(Lord Huron, The Night We Met)

Come ci insegna il Bardo guardando con onestà sorprendente a quegli scavezzacollo sconsiderati di Romeo e Giulietta, gli adolescenti non sono molto bravi ad accettare mezze misure e compromessi, pulcini incapaci come sono di liberarsi del tutto dei frammenti accoglienti del loro guscio per spiccare finalmente il volo verso il futuro, anche a costo di sbattere a più riprese contro un ostacolo per ripartire ogni volta più forti di prima. Che la vita sia una battaglia e che la felicità non sia un assoluto è un'ovvietà che impari presto, ma a quattordici anni la fame di quell'esistere così pieno e sconosciuto è talmente grande che non puoi che scegliere deliberatamente di non sentire: varchi per la prima volta il cancello delle superiori con la certezza che o sarà tutto meraviglioso o finirà in un disastro totale, cerchi disperatamente di farti accettare da coetanei che ogni giorno sembrano stare lì solo per dirti che saranno sempre più sicuri, più belli e più in gamba di te, riesci a ritagliarti un piccolo spazio nel girone infernale della scuola ma basta una mezza parola o un banale fraintendimento per sentirsi dire che è finita, l'affronto che hai fatto è troppo grande per poter essere perdonato e dimenticato, torna pure nel tuo eremo di solitudine che a nessuno importa niente di te e mai importerà. 
Ti butti sui libri con tutta l'energia che riesci a trovare o li abbandoni del tutto, alla ricerca di qualcosa che possa rendere giustizia alla persona che vorresti essere ma non ce la fai, perchè una cattiveria dopo l'altra la linfa che dovrebbe nutrire l'adulto che diventerai viene succhiata via e divorata da un dolore che sembra insostenibile, il tarlo del niente che nulla vede e nulla ascolta, neppure l'amore e la disponibilità della famiglia che ti ha sempre amato; solo un piccolo assaggio di una maturità di sofferenza da cui non hai ancora i mezzi per difenderti e dinanzi alla quale il bambino che è in te reagisce nell'unico modo che conosce: diventare egoista e scappare via per non provare più dolore, smettere di remare e lasciarsi inghiottire dalle onde, se necessario, anche verso la fine.

La vera forza di Thirteen Reasons Why(Tredici), nuova serie cult di Netflix capace di macinare consensi e scatenare polemiche e perplessità senza alcuna barriera generazionale non è soltanto la scelta di scoperchiare un vaso di Pandora scomodo come quello del suicidio di una sedicenne, analizzandone cause e conseguenze fra apparenti banalità adolescenziali e traumi indelebili, ma soprattutto il riuscire ad aprire una breccia nell'animo travagliato di giovani e non più giovani con l'onestà e il cuore di chi non ha paura di sporcare la patina del teen drama tradizionale in nome di un racconto più vero.

Hanna, Clay, Jessica e gli altri ragazzi della Liberty High School non sono belli e dannati figli di ricconi che nascondono la propria infelicità nelle ville di lusso della California, non hanno la parlantina interminabile degli abitanti di Capeside ne la stessa instancabile e filosofica capacità d'analisi e non vivono situazioni familiari al limite del paradosso con fratellastri e matrigne pronti a saltare fuori all'occorrenza per non restare a corto di intrighi: ad attraversare i tredici episodi con l'ineluttabilità dei Dieci Piccoli Indiani di Agatha Christie aspettando con terrore che venga sentenziata la loro parte di colpa nella fine di Hanna Baker sono ragazzi normalissimi con volti normali e mai prorompenti, figli fortunati (con un giusto un paio d'eccezioni) e amati da padri e madri che non riescono a vedere il loro disagio perchè i problemi della vita sono ben altri e tutto si può superare: perchè gli adulti sanno che il liceo prima o poi finisce e per questo amano dimenticare il buio di ciò che è stato, assorbiti da una quotidianità di lavoro, conti e pensieri che ha tutto il diritto di stare lì, ma che finisce facilmente per condizionare la loro capacità di ascoltare e accettare che anche la più piccola delle delusioni può avviare il domino del disastro. 

La macchina narrativa è ambiziosa e le forzature e i difetti non mancano, con la povera Hanna che diventa suo malgrado un paradigma di sventure, un intreccio che domanda pazienza e non è esente da vistosi cali di ritmo e un cattivo senza redenzione che avrebbe meritato maggiori sfaccettature e che diventa piuttosto il simbolo di un male nazionale che persiste e non arretra, al sicuro in quell'alcova di privilegio tutta sport, denaro e competizione che gli States hanno sempre incoraggiato a discapito di sensibilità individuale e delicatezza; eppure, la fotografia scattata da Thirteen Reasons Why resta potente e preziosa, tanto nei momenti di straziante insicurezza e romanticismo dei suoi protagonisti quanto nei passaggi di  riflessione brutale e violenta, per andare fino in fondo anche a costo di alzare un polverone e sconcertare l'innocenza di chi guarda: i genitori che certe cose non vorrebbero sentirle, i figli che demoliscono con facilità i compagni certi che una parola non possa ferire quanto il taglio di una lametta sulla pelle o che si abbandonano alla fantasia negativa del suicidio immaginando che sia una dolce soluzione, per svegliarsi con uno schiaffo e scoprire quanto tutto sia dannatamente atroce, sgradevole, sporco e spaventoso. 


2 commenti:

  1. Bella riflessione, potente e preziosa, sia sul periodo delle superiori che sulla serie. ;)

    Su forzature e difetti si può anche chiudere un occhio, visto che si tratta pur sempre di un prodotto di fiction e non di un documentario, soprattutto quando il risultato è così efficace e devastante.

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    1. Grazie Marco! è vero, ho voluto segnalarle ma alla fine per me passano davvero in secondo piano,il lavoro fatto con la serie resta straordinario.:)

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