martedì 1 dicembre 2015

Suffragette


"Never Surrender, never give up The Fight."

Mogli, figlie, madri, lavoratrici, casalinghe: sempre dietro a un'etichetta, un ruolo da interpretare nel migliore dei modi possibili, di epoca in epoca e di progresso in progresso, nella triste consapevolezza che il peso della scelta non sarà mai lieve: perchè alla donna verrà sempre chiesto di scegliere, di frammentare il proprio tempo di fronte a un bivio pronto a testarne costantemente volontà e ambizione, di provare ad avere tutto inghiottendo il boccone amaro del sacrificio o restare ben piantata su un unico e pur ripido sentiero, di pesare il peso trascorso lontano dal marito e dai figli con un lavoro degno di essere chiamato tale o dedicarsi interamente a una carriera che la veda concorrere con opportunità pari per mansioni e retribuzione a quelle di un qualsiasi uomo, di avere 2, 3, 10 figli o di non averne affatto senza doversi giustificare sul cosa significhi o non significhi essere donna; se nulla ha potuto e mai potrà la Storia contro lo strazio della scelta e le sue conseguenze, è piuttosto il diritto stesso di scegliere, la libertà di essere padrone della propria esistenza come esseri umani e non in qualità di fattrici provette o figurini ubbidienti, di essere amate e non mercificate da doti cospicue o misere fortune, ad essere la conquista più sacra e preziosa alla quale ogni donna possa aspirare.

Vecchio di neanche un secolo per la maggior parte dei paesi occidentali e ancora un'utopia per tantissime, troppe donne nel mondo, il suffragio universale è solo uno dei tanti successi strappati con le unghie e con i denti ad una piramide sociale retta da secoli e secoli di compiacente cecità e polvere, ma ingombrante quanto basta per scoperchiare il vaso di Pandora di un Femminismo per cui oggi sembra più facile riempirsi la bocca su internet piuttosto che cercare di comprendere e agire;  per tornare alle origini e raccontare la lotta delle donne per la conquista del diritto di voto nell'Inghilterra del primo 900', la regista Sarah Gavron ha scelto col suo Suffragette la via della sorellanza senza quartiere, affiancando la sceneggiatura di Abi Morgan (per nulla nuova ai ritratti di donne inaffondabili dopo la serie tv The Hour, The Invisible Woman e The Iron Lady)a un team di Attrici di primo ordine pronte a incarnare volti di ogni estrazione, pronte a minare i binari delle loro tranquille esistenze in nome di un obiettivo divenuto troppo importante per poter essere messo a tacere.

Fra le tante operaie provate da turni estenuanti e molestie sessuali perpetrate come prassi abituale dai loro superiori, le mancate dottoresse a cui è stato negato di studiare medicina e le mogli infelici di eminenti membri del parlamento, a risaltare più di ogni altro è comunque lo sguardo stanco, disilluso sì ma non ancora disposto a spegnersi in rassegnazione, della giovane Maud, madre e moglie devota praticamente cresciuta fra i vapori della lavanderia dove ha sempre lavorato come tutta la sua famiglia: attraverso di lei, interpretata al meglio da una Carey Mulligan alle prese con un personaggio per una volta non antipatico o saccente ma animato da un fuoco e una passione sconvolgenti (era dai tempi di Never let me Go che non ritrovavamo quella delicatissima tristezza nei suoi occhi), prendiamo confidenza con una Londra tradizionalista e assai poco confortevole, caotica tanto nel traffico degli spazi aperti di Piccadilly quanto nei pochi invivibili metri quadri di un appartamento di periferia dove ogni famiglia operaia doveva fare di necessità virtù; è quasi per caso, mettendo in pausa le preoccupazioni per un attimo di fronte a una bella vetrina del centro, che l'Onda del Movimento delle Suffragette inizia a nutrire i pensieri di Maud, facendo sentire gradualmente il suo richiamo fino a diventare l'altare al quale tutto deve essere sacrificato.

"We're in every home. We're half the human race. You can't stop us all."

Contro un popolo di uomini inetti, incapaci di andare oltre lo status quo quanto di sostenere lo sguardo di quelle stesse consorti con cui per anni hanno condiviso il letto e il quotidiano, Suffragette urla il suo disappunto presentandoci una cronaca che si tiene ben lontana dalla retorica e dal facile sentimentalismo, preferendo un'esposizione asciutta e quasi documentaristica ma non per questo priva di anima e cuore: alternando i frequenti primi piani nelle scene di stasi alla camera a mano in quelle di azione, la Gavron fa combattere alle sue eroine una battaglia dove la violenza è più lasciata intendere che mostrata, trovando soluzioni egualmente efficaci per vessare le protagoniste e sferrare pugni dolorosissimi allo stomaco degli spettatori; dinanzi alla scelta di non mostrare la vittoria finale tanto agognata e di affidare ai titoli di coda, dopo una scena all'Empson Derby che è un capolavoro di tragedia e tensione, l'annuncio della conquista del Suffragio, ogni ultimo tentativo di affrontare la visione resistendo alla commozione finisce per crollare miseramente.

Suffragette è però anche il racconto di come un'idea sappia arpionarsi strenuamente e piantare floride radici nell'animo di chi la sostiene, trascinando nel gorgo della resistenza chi mai avrebbe pensato di trovare il coraggio di ribellarsi e onorando le sue soldatesse con una crescente serie di medaglie fai da te, appuntate sotto i garbati cappellini e cappotti che la moda dell'epoca imponeva anche alle donne di più bassa estrazione: un romanticismo classico, lontano anni luce dai sogni d'amore della vivace diciottenne Valentine del Parade's End di Ford Maddox Ford così come dalla spensieratezza di quella Signora Banks che con Mary Poppins ha plasmato così tanto la figura della suffragetta nell'immaginario collettivo, vicino alla scintilla che con la forza delle idee alza barricate e accetta il rischio della morte nel sogno di un mondo migliore per le generazioni che verranno.

Una caparbietà tutta femminile che trova una degna alleata nella colonna sonora di Alexandre Desplat: messi da parte virtuosismi e volteggi, il compositore francese preferisce insistere su un tamburo battente, costante come un battito di cuore per scandire la Marcia delle protagoniste, e su inedite ma sobrie sfumature elettroniche, la tempesta magnetica del riscatto al quale Maud e le altre non possono sottrarsi.

Si parla spesso di quanto un film possa o debba essere necessario all'importanza degli eventi raccontati e di come questo possa influenzarne il valore cinematografico, ma nel caso di Suffragette il pericolo di sbilanciarsi per le ragioni sbagliate non è contemplato: riaccendere i riflettori con cognizione di causa su un argomento vergognosamente scottante per un terzo millennio che ancora discute di pari opportunità e mal sopporta culture dove la parola donna coincide con sottomissione era necessario, ma un film che sapesse conciliare in modo misurato la celebrazione delle tante battaglie che il gentil sesso ha combattuto per non arrendersi ad una vita a metà con una riflessione sul mito dell'ideale e la sua meravigliosa ostinazione è un piccolo passo di cui avevamo davvero bisogno.


Note

- The Women/The Men:
Oltre a Carey Mulligan, arruolate fra le file delle Suffragette ci sono Helena Bonham Carter, Anne Marie Duff, Romola Garai e un cameo non caricaturale e potentissimo di Meryl Streep negli storici panni di Emmeline Pankhurst; tutte splendide, tutte bravissime. Meno nutrito a ragione dell'argomento trattato e di certo non trattato con particolare riguardo (si sarebbe potuto fare di più, ma non sempre il politicamente corretto è il miglior modo di raccontare una storia), il cast maschile può comunque contare su un imperturbabile Brendan Gleeson e su un Ben Whishaw patetico e incapace quanto basta nei panni del marito di Maud.

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