domenica 2 agosto 2015

Ex Machina



"I am become death, The Destroyer of Worlds."

Uomo contro macchina, carne contro circuiti, intelligenza contro intelligenza: può una creazione artificiale pensare e sentire come un essere umano al punto di farci dimenticare la sua fallibilità? L'argomento è tutt'altro che nuovo e strizzando l'occhio alla grande letteratura di fantascienza del Novecento il cinema l'ha sempre portato avanti con la giusta ironia, malinconia e tragicità, ma l'abilità nel mescolare gli ingredienti della formula in modo da dialogare col presente senza portare in sala pezzi vecchi e arrugginiti è l'unico metro davvero degno di nota, per valutare il lavoro di chi desideri andare ben oltre una calligrafica esposizione delle tre leggi della robotica di Asimov.

Nel caso di Ex Machina, debutto alla regia dello sceneggiatore veterano di Danny Boyle Alex Garland (28 giorni dopo, Sunshine, il bistrattatissimo The Beach), c'erano ben pochi dubbi che il risultato sarebbe stato degno di attenzione: stiamo parlando dell'uomo che ha adattato per il grande schermo quel capolavoro dimenticato che è Never Let Me Go di Mark Romanek, esempio eccellente di come la fantascienza "normale" possa colpire al cuore e straziarlo con una violenza ben maggiore di quella scatenata da un esercito di chiassose astronavi inferocite.

È questo il segreto della fantascienza che funziona, la distopia più tagliente ed efficace che chi scrive preferisce e favorisce nettamente: andare oltre la progressione tecnologica senza soffermarsi troppo sul perché e sul per come, per guardare dritto negli occhi i mostri che la nostra ragione senza sonno è riuscita a creare e cercare di capire se sia ancora possibile tornare sui nostri passi e rimediare.

Ex Machina ci osserva senza spazientirsi, schermandoci sin dalla prima inquadratura attraverso quei monitor davanti ai quali passiamo la maggior parte del nostro tempo, ipnotizzati dal motore di ricerca che tutto può e nulla sembra chiedere: la vittima sacrificale è Caleb, giovane programmatore con la faccia da bravo ragazzo di Domhnall Gleeson, fortunato vincitore di una lotteria che gli consente di trascorrere un'intera settimana nella lussuosa villa bunker di Nathan, carismatico capo dell'azienda per cui lavora responsabile del motore di ricerca più usato e cliccato al mondo; il suo compito è interagire con Ava, un robot ancora in fase di completamento studiato per godere della stessa sensibilità e complessità di pensiero di un essere umano, sempre che il test di Turing venga brillantemente superato e l'inevitabile vulnerabilità emotiva dell'esaminatore non finisca per rovinare tutto.

La prigione di vetro, raffinata e minimalista come ogni scenario futuribile impone, diventa teatro unico di un dramma a tre voci dove i protagonisti duellano a colpi di parole accuratamente cesellate, trascinandoci nel gorgo con la delicatezza di chi inizia a osservare l'altro con innocente curiosità prima di precipitare nell'ossessione.

In bilico sulla sottile linea fra morbosità e dolcezza, la macchina da presa indulge su Ava facendoci cadere in un tranello ottimamente orchestrato, per nascondere in bella vista una disamina su un'umanità le cui regole di funzionamento risultano inattaccabili anche nei momenti più disperati e animaleschi; difficile dire chi sia la macchina e chi l'uomo, quando il decalogo dell'attrazione si snoda in una serie di meccanismi tali da non poter essere in alcun modo equivocati.

Il linguaggio dei corpi dei bravissimi Domhnall Gleeson e Alicia Vikander (sempre più lanciata nel cinema europeo e ben lontana dai confini della sua Svezia) viene monitorato con costanza dallo sguardo sempre vigile di Oscar Isaac, spigliato scienziato pazzo pronto a trasformare il suo delirio di onnipotenza nella realizzazione del Sogno di ogni Nerd rimasto a fantasticare davanti al proprio laptop, il mentore al quale nessuna matricola potrebbe resistere.

Così, mentre il triangolo snoda lentamente i suoi anomali vertici, Ex Machina ci fa domande e pretende risposte, insegue l'etica e la morte del progresso senza cedere mai terreno alla retorica e al sentimentalismo, asciuga ogni lacrima dietro al silenzio delle immagini fino a prenderci in trappola e a spingerci a rompere il vetro con violenza: con l'audacia meravigliosamente british che aveva contraddistinto prodotti come Black Mirror (serie tv alla quale lo stesso Gleeson ha preso parte), Alex Garland ha preso la frustrazione dell'uomo moderno e l'ha affidata al sereno e pacifico sorriso di una bellissima ragazza, decisa a fare qualsiasi cosa pur di acquistare la libertà da sé stessa e dall'unico mondo che abbia mai conosciuto: perchè la sopravvivenza, pagata con tradimento e con l'inganno e forse col sacrificio ultimo dell'amore per l'altro è l'ultimo afflato di umanità che ancora ci rimane; il Test di Turing è stato superato.


Note:
Le musiche elettroniche di  Ben Salisbury & Geoff Barrow sono impeccabili sia nel far crescere la tensione che nel generare malinconia e tristezza. Ne vorremmo ancora, grazie.

4 commenti:

  1. Anche per me il test di Turing è stato superato.
    Sebbene il fatto che siamo d'accordo su un film mi fa venire il dubbio che o la mia recensione o la tua (o tutt'e due) siano state scritte da un robot che ci ha sostituiti... :)

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    1. mi sa che hai ragione...i replicanti ci hanno conquistato! :D

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    2. Non sei la prima persona che fa riferimento a Black Mirror parlando di questo film. Mi sa che mi tocca recuperare, nonostante Ex Machina non mi sia piaciuto particolarmente.

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    3. Black Mirror è una serie straordinaria, da far venire i brividi! va assolutamente recuperato :)

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