venerdì 18 aprile 2014

The Book Thief


"In my religion we're taught that every living thing, every leaf, every bird, is only alive because it contains the secret word for life. That's the only difference between us and a lump of clay. A word. Words are life, Liesel."

Forse è solo una questione di gusti, di impressioni sbagliate, di mancanza di sintonia e di attitudini personali, o forse no: viaggiare significa anche imbattersi in luoghi che sembrano non appartenerci affatto, respingenti e introversi, gelosi delle ombre di un passato che ha messo radici nella terra imparando a proteggersi da domande indiscrete. Berlino si erge audace e spavalda nella promessa di un futuro cristallino quanto le sue spericolate architetture, assecondando lo spirito di una contemporaneità in fermento che non ha paura di guardare oltre scommettendo su una mano azzardata, ma la sensazione che ho provato nel vederla la prima volta qualche anno fa aveva ben poco a che vedere con questa entusiasmante e pur autentica descrizione; a farsi sentire è stata una cappa amara e avvolgente, come se la città fosse stata colpita da un incantesimo di tristezza perenne impossibile da spezzare, una coltre grigia che ti attacca addosso il sospiro di un dolore tanto profondo da non poter essere sanato né cancellato, mai più. 

Quella strana sensazione di sospensione e malinconia mi è subito tornata in mente durante la visione di The Book Thief (in italiano "Storia di una Ladra di Libri"), tratto dall'omonimo romanzo di Markus Zusak e diretto da Brian Percival ( Downton Abbey), al suo primo lungometraggio per il grande schermo: a fare da narratore qui è addirittura la Morte in persona, affascinata da quell'umanità contraddittoria che pur lottando costantemente per non correre troppo in fretta fra le sue braccia sembra non riuscire a smettere di inseguirla; è lei ad osservare dall'alto i protagonisti e ad insinuarsi nelle loro vite, la voce morbida e cauta come quella di un nonno che veglia teneramente sui suoi nipotini, facendoci conoscere la piccola Liesel e la storia di come sia diventata, senza neppure rendersene conto, una figlia del suo tempo.

Lasciati indietro una madre in fuga e un fratellino morto troppo presto, Liesel inizia la sua nuova esistenza ad Himmelstrasse ( non ha caso, la "Strada del Paradiso")protetta dall'affetto di una pittoresca famiglia adottiva e dall'amicizia con Rudy, un ragazzino dai capelli biondissimi che desidererebbe essere come l'atleta di colore Jessie Owens: mentre le bandiere con la svastica sventolano orgogliose in ogni angolo di strada Liesel impara a leggere e a scrivere, scopre l'amore per i libri e l'odio per chi preferisce bruciarli, rifiutando una filosofia dell'odio e dell'incultura che la gente comune non può, o non vuole, trovare la forza di respingere.

Il conflitto della popolazione locale nell'abbracciare o assecondare il nazionalsocialismo, per alcuni l'unica scelta possibile per non perdere il lavoro e proteggere la propria famiglia, per altri l'alto ideale in grado di riportare in auge la Germania in tutta la sua gloria, è indagato con poca insistenza attraverso personaggi che si muovono sempre nella fazione dei buoni ( sarebbe stato utile approfondire la difficile posizione del padre di Liesel); l'opportunità di raccontare il Secondo Conflitto Mondiale non al Fronte o nei Campi di Sterminio ma assecondando il punto di vista di chi l'ha vissuto nelle proprie case con la costante paura dei bombardamenti e del razionamento non va sottovalutata: insieme a Liesel ( molto brava la giovanissima Sophie Nélisse) vediamo il cielo sopra Himmelstrasse cambiare e incupirsi sempre di più, ma per quanto tetra l'immagine mantiene sempre la grazia nascosta in chi osserva il mondo con occhi di bambino.

La dimostrazione che dietro al "nemico" si nascondono innocenti colpevoli solo di essersi trovati dalla parte sbagliata è materia necessaria e delicatissima, ma nel maneggiare una cornice dal peso storico e morale tanto elevato Brian Percival non riesce a dare il giusto rilievo a quello che dovrebbe essere il vero lietmotiv del film: l'incredibile forza delle parole, quelle che possono donarti l'immaginazione e renderti libero anche nel buio di uno scantinato, quelle che possono riportare la pace in un animo turbato e farsi sentire anche nel delirio della malattia, quelle che nascondono l'odio per il diverso in una canzoncina scolastica apparentemente innocente, quelle che ti si strozzano in gola nel pianto e nella sofferenza e che vorrebbero uscire quando ormai è troppo tardi; le parole che conquistano il cuore di Liesel riempiendo nel bene e nel male tutto il suo mondo arrivano sottotono, in una partita con la Morte troppo ardua per poter essere vinta, trasportate da una messa in scena didascalica incapace di catturarne fino in fondo lo spirito.

Senza il sostegno della colonna sonora di John Williams, piacevole ma priva dello slancio necessario( che succede a lui e ad Hans Zimmer?), il film tocca però le corde giuste grazie alle interpretazioni dei suoi attori: oltre alla splendida Sophie Nèlisse ci sono gli eccellenti Emily Watson( ormai specializzata nel ruolo della madre coraggio) e Geoffrey Rush, ma anche il quattordicenne Nico Liersch nel ruolo di Rudy, amico e vicino di casa di Liesel: impossibile non innamorarsi della dolcezza straziante del suo personaggio.

Commovente e toccante a ragione del tema trattato e di un epilogo che richiama in parte il Titanic di James Cameron (chi ha visto entrambe le pellicole coglierà subito il riferimento), The Book Thief è un film che fa riflettere e che va ammirato e sostenuto nella sua scelta di perseguire un racconto "bellico" originale mostrando l'altro volto, tutt'altro che disumano e spietato, di una Germania che forse porta ancora con sé il ricordo di una nuvola di morte persistente: sarebbe bastato il coraggio di andare un po' più a fondo, facendoci sentire l'odore della carta dei libri tanto amati da Liesel e il rumore della penna che scorre sulle pagine del suo prezioso diario, per liberare il potere di quelle parole che avrebbero meritato di essere marcate con maggiore decisione.

NON/OSCAROMETRO: una sola nomination per la colonna sonora di John Williams: non ha vinto e va bene così.



3 commenti:

  1. anche a me stranamente, per essere un film abbastanza ruffianotto, è piaciuto. devo cominciare a preoccuparmi, mi sa :)

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    1. Eh si, mi sa che il suo Cannibalismo sta un tantino invecchiando... :D

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  2. Nel complesso mi è piaciuto, però si perde lungo il percorso quella freschezza iniziale che sembrava promettere grandi cose anche per il finale... :)

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